L’idea proviene da un’esperienza personale ma anche dall’esigenza di raccontare storie, mission della casa di produzione: “Una realtà incredibile, vale la pena raccontarla”, ci ha detto la Ercolani. Ma allo stesso tempo, “proviamo a raccontare l’adolescenza: i famosi giovani di cui tutti parlano, ma di cui tutti dicono che nessuno li capisce”. “Il problema -prosegue la Ercolani- è riuscire a organizzare la macchina produttiva e fare in modo che le storie raccolte diventassero una realtà fruibile”.
Per la prima volta non è stato fatto alcun casting: in accordo con l’ospedale, è stato chiesto ai ricoverati nei cinque reparti a lunga degenza, se ci fosse qualcuno disposto a raccontarsi ed essere seguiti per un anno, durante la terapia. L’unico filtro è stato quello dei medici, che se da un lato si sono dimostrati molto aperti, dall’altro hanno protetto i pazienti e le loro famiglie. Non c’è niente di scritto: “Abbiamo cercato di dare un senso a quanto osservato, per restituireil più possibile questo posto eccezionale”.
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Un tema forte: “Io penso che se anche uno spettatore, che non conosce situazioni del genere, lo vede, allora ne è valsa la pena. Non è un progetto fatto nella speranza di avere un successo di pubblico, perché non è uno spettacolo”.
Nel corso dell’intervista rilasciataci, la Ercolani ci ha anticipato anche l’argomento del prossimo progetto: non vi anticipiamo altro, ma stavolta è stata la stretta attualità a dare lo spunto.