Adesso è tempo di bilanci definitivi. Innanzitutto i telespettatori non ne possono più di show durante i quali i bambini vengono utilizzati ad uso e consumo degli adulti, con la finalità esplicita di catturare l’attenzione e conquistare ascolti. Bisogna, inoltre, sottolineare che, almeno in questa edizione, Gerry Scotti non ha nessuna colpa dell’insuccesso di Io canto. Colpevole è lo sfruttamento di una formula oramai obsoleta, a cui si è aggiunto, quest’anno, il tentativo di infarcirla con elementi mutuati da altri talent del genere, tra cui in particolare Amici. Ovemai Io canto avesse avuto un’identità (ma non l’ha mai avuta, visto che ha ricalcato il programma di Antonella Clerici Ti lascio una canzone), è stata snaturata dalla foga di attualizzarla e modificarla avendo, purtroppo, come modelli, trasmissioni similari. Vi si aggiunga, ancora, la presenza, oramai obsoleta di Mara Maionchi in giuria. La Maionchi è un personaggio che ha attraversato tutte le chiese televisive canterine, passando da X Factor ad Amici e adesso a Io canto. E’ inflazionata e oramai corre il rischio di divenire poco credibile, nonostante il carattere apparentemente schietto che spesso l’ha portata anche ad utilizzare un linguaggio molto colorito.
La presenza, in giuria di Claudio Cecchetto e Flavia Cercato poteva rappresentare un valore aggiunto. Ma Cecchetto, negli ambienti dello spettacolo è fin troppo noto e ha dato vita, con il padrone di casa, a una sorta di dialogo privilegiato che, spesso, ha messo all’angolo solo la Cercato. La Maionchi, infatti, ha sempre saputo prendersi i suoi spazi e intervenire. Simpatica poteva essere l’idea di far cantare brani inediti ai piccoli canterini: ma la sensazione da surrogato dello Zecchino d’oro incombeva in maniera consistente. Ci riferiamo, in particoalre a canzoni come “L’urlo della formica”.
Ciò detto, la finalissima è stata ineccepibile dal punto di vista dello spettacolo. Grandi ospiti musicali come I Backstreet boys, Aldo Giovanni e Giacomo e Rita Pavone, un susseguirsi di interazione con il pubblico e i piccoli in gara mediati dalla “bonaria” capacità comunicativa del conduttore, ottimi giochi di luce, regia perfetta, un battage pubblicitario della vigilia molto intenso e convincente. Dall’altra parte, su Rai1, la replica di Un passo dal cielo avrebbe potuto far propendere per le canzonette di Canale 5. Invece, solo il 12,51% di share. La tv generalista dovrebbe capire di aver davvero esagerato con lo sfruttamento dei minori in video. Con tutto quello che riferiscono le cronache, in questi giorni, sarebbe meglio che i piccoli non fossero strappati alla loro infanzia rendendoli adulti prima del tempo. Finisce che a 12, 13 anni si credono già persone adulte e pretendono l’autosufficienza economica che queste trasmissioni in qualche modo garantiscono, pur attraverso i loro genitori. Il consiglio è di riporre Io canto in soffitta e pensare a nuove idee.