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Il giornalista ha unito le esperienze personali al racconto dell’immigrazione e della cosiddetta ospitalità. Partire da sè stesso dunque, per allargare la riflessione a quanto sta accadendo ora in Friuli Venezia Giulia, terra dove è arrivato da Napoli il suo papà. Generazioni diverse di migranti a confronto: dalle foto in bianco e nero dei genitori di Capuozzo, ripercorrendo le strade dove le bande di ragazzini si davano appuntamento, la voce narrante si concentra sull’attualità.
“Se non funziona nella terra di primule e temporali, dove tutto funziona meglio che altrove, senza le grandi emergenze di altri luoghi: se non funziona qui, come può funzionare altrove?”, si chiede. Le immagini sono girate in presa diretta, senza che Capuozzo si mostri mai in video.
L’attenzione si concentra allora su Udine: una realtà da piccola città, che non riesce a tornare agli antichi 100mila abitanti: è proprio per questo motivo che il sindaco ha optato per l’accoglienza di immigrati e profughi. Eppure, nonostante le premesse, “il tappo è saltato”: la gente qui non è razzista, rischia però di diventarlo.
Sistemati negli edifici dove molti hanno fatto la “naja”, in alcuni casi sistemati nelle strutture alberghiere grazie a un accordo con la prefettura, gli immigrati sono per la maggior parte pakistani e afghani. I profughi siriani non si sono nemmeno fermati, e “arriva quel che arriva” specifica Capuozzo: non tutti vogliono integrarsi nella vita di Udine, non a tutti interessa. Le telecamere incontrano sia i friulani che i loro ospiti: da un lato chi racconta che il nipote laureato si è dovuto trasferire in Australia per poter trovare un impiego, dall’altro chi va a lezione d’italiano.
Casa Capuozzo è il ritratto di un “Paese che non ha saputo e voluto governare le emigrazione, ma le ha subite”: senza creare un corridoio umanitario, scegliendo di arrendersi alla retorica dell’emergenza continua. Una “fiera delle illusioni”, dove ci si accontenta di essere “sazi della nostra bontà” anziché fornire soluzioni concrete: tutto rimane così in stallo, senza una politica capace di rispondere alle esigenze della contemporaneità storica.