Raffaele è presente dalla prima puntata di Un posto al sole. La napoletaneità che incarna è rimasta costante nei venti anni di riprese, ma ha cambiato spesso volto. Come ha fatto sì che potesse avvenire questa evoluzione?
Raffaele è presente dalla prima scena. Lei ha toccato l’argomento che fa sì che Un posto al sole vada avanti da venti anni. Perché noi siamo non solo un racconto televisivo, siamo anche una vita parallela. Per cui, in venti anni, i telespettatori non hanno solo ascoltato le nostre storie, ma hanno visto noi invecchiare, maturare, cambiare come attori e come uomini.
Entra in gioco la curiosità per la crescita non di un personaggio, ma di una vita. Perché i nostri personaggi hanno una loro vita, ormai. Noi non pensiamo più neanche “come fare” un personaggio – ed è la cosa più bella per un attore – ma ci preoccupiamo di farlo vivere per come è, in quanto individuo vivente. Io so come ragiona Raffaele in tutte le circostanze. Il mio sforzo è quello di auto-annoiarmi, per poi cercare di “sterzare” e dare un’imprevedibilità al personaggio. Spesso gli sceneggiatori prendono degli andazzi e tendono a mantenerli, allora io alle volte li anticipo e suggerisco come “sterzare”. In venti anni, come nella vita, ho cambiato umori, interlocutori, ho avuto delle crisi, sia come attore che come personaggio. Raffaele è stato violento quando si è trattato di reagire alla morte della moglie, tenero, si permette il lusso di fare la commedia più spinta (quasi farsa) con il cognato, Renato (Poggi ndr)… Insomma, ho suonato tutte le corde che un attore difficilmente suona in una carriera. Quindi, questo personaggio mi gratifica molto.
Quanto c’è di Patrizio Rispo in Raffaele?
Sa, ormai non lo so più. Perché esistono entità nuove: non esiste più Patrizio Rispo come sarebbe stato senza Raffaele e non esiste più Raffaele senza Patrizio. Io sono il frutto di questi due. Sicuramente c’è molto di Patrizio e sicuramente prendo molto da Raffaele. Mi consente di avere ancora degli atteggiamenti infantili, folli, perché sono capito dal pubblico, che mi conosce. Alla mia età avrei censurato molte cose che Raffaele, invece, mi consente di fare.
Quanto c’è di Napoli in Un posto al sole? Meglio, quanto si pensa a rappresentare Napoli, durante la recitazione?
Napoli è uno dei protagonisti. Di Napoli si scrive nella sceneggiatura come si scrive di un personaggio. Napoli viene vista in tutte le sfaccettature. Perché non è una, come non siamo unici noi. Noi abbiamo la possibilità di cambiare e di far vedere vari nostri lati, anche se tendiamo, come uomini, a dare un’impressione il più possibile omogenea. Napoli è piena di contraddizioni, di passioni. Si è spesso raccontata una certa Napoli, mentre il merito di Un posto al sole è quello di raccontare le varie fasce sociali, la cultura, il turismo, le bellezze di questa terra. Napoli è sicuramente uno dei motivi del successo di questa serie, amata in tutto il mondo.
Qual è il rapporto dei napoletani con Un posto al sole?
Ormai siamo parenti, siamo una famiglia. Anche perché Napoli ha goduto dell’indotto importantissimo della soap. Non c’è ragazzo che non sia passato da noi, che non abbia guadagnato qualcosa facendo la comparsa per mantenersi gli studi. Abbiamo visto lavorare con noi ragazzi appena usciti dal carcere o di difficile estrazione sociale. Insomma, il tessuto della città è estremamente connesso a quello di Un posto al sole.
Qual è stato il ruolo di Un posto al sole nella sua carriera?
Mi ha consentito di smetterla con lo stress che distrugge tutti gli attori: ogni volta che finisci un lavoro non sai quando ne ricomincerai a lavorare. Ed è la cosa più lacerante, essere in balia dei gusti e delle scelte degli altri. Un posto al sole ti dà la sicurezza di lavorare tutti i giorni come attore. Ti consente, grazie a questa sicurezza, di fare altro. Io, ad esempio, ho prodotto due film, con la mia società sto producendo un altro film sulle difficoltà dell’inserimento lavorativo dei giovani. Lavoro al Teatro Mercadante, dove mi occupo nelle produzioni teatrali. La cosa principale è che posso dare ed essere ascoltato molto nel sociale: sono ambasciatore della CBM (una ONLUS che si occupa di cecità evitabile nel Sud del mondo, ndr), sono ambasciatore dell’Unicef. Tutto questo grazie ad Un posto al sole, alla popolarità e alla libertà che mi consente di avere.
Come si gestisce il fatto di dover girare tutti i giorni? Può essere un problema o è solo una risorsa?
Una risorsa enorme. Poi, quando trovi questa atmosfera di aiuto, di lavoro quasi familiare, con una Produzione che ti viene sempre incontro, è tutto più facile. Se ho altri impegni, altre cose da fare, loro non solo me lo consentono, ma fanno anche di tutto per agevolarmi.
Il prossimo obiettivo di Un posto al sole è quello delle 5mila puntate. Quali evoluzioni dovremo aspettarci?
Sicuramente non mancheranno sorprese. Non sono mai mancate, specie in occasione di questi traguardi storici. Abbiamo giocato molto col prodotto, ambientando puntate nel ‘700, nella preistoria… Qualche invenzione spiritosa sicuramente ci sarà.