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Detto ciò l’opera di Avati ha molte frecce nell’arco, a partire dall’impegno etico dell’operazione, che affronta il dramma dell’immigrazione in Italia, e dalla interpretazione della protagonista, una Laura Morante bella e materna insieme, dolce e matura nelle forme arrotondate della donna di mezza età. E’ lei il nocciolo del plot. Lei che si trova all’improvviso abbandonata dal marito, dopo 21 anni di matrimonio senza figli, un marito (Paolo Sassanelli) che prende una sbandata per un’altra e decide subito per la separazione.
Carla molla casa e studio, va a vivere in un’abitazione piccola e periferica, preda della solitudine. Che si spezza anche qui all’improvviso quando a un distributore di benzina incontra un bambino che al di là di un recinto mostra ossessivamente la sua foto con altri due piccoli. Sono i fratelli perduti durante lo sbarco a Lampedusa, apprende Carla seguendo quel recinto ed entrando nella comunità per piccoli rifugiati che ospita Marhaba, così gli operatori della struttura chiamano il bambino siriano, che non parla e mostra segni di disadattamento.
Per Carla, una che fino a una settimana prima presa dalla sua vita di signora rampante non si degnava di dare una moneta al lavavetri straniero fermo al semaforo, l’incontro segna il cambio di rotta. Entra a fare i turni nella comunità, accolta in quattro e quattr’otto dalla direttrice (Lina Sastri), e indaga sul piccolo, perché vuole aiutarlo a ritrovare i fratellini. Indaga tanto da andare a Lampedusa, dove i ritmi del film prendono un po’ l’andatura centrifuga del giallo, con due strani individui che in una chiesa danno alla donna, chissà come, le informazioni che desidera, ovvero che i fratelli di Marhaba sono annegati in mare. Lei torna a Roma e riesce, pur essendo separata, a farsi dare in affidamento il piccolo ribelle.
E riesce senza poi tanta fatica e in breve tempo a inquadrarlo nella vita di ogni bambino, scuola, spesa al supermarket, tv, giocattoli. Ma dal console italiano a Berlino arriva la chiamata per Carla e il piccino: le indagini attivate dalla donna hanno portato a individuare una coppia di ricchi tedeschi che hanno adottato due fratellini siriani. Potrebbero essere i fratelli che Marhaba non ha mai dimenticato. Sì, sono proprio loro, accerta la donna in un viaggio che è il contrario di quello della speranza. E anche nell’incontro con la coppia adottiva c’è un improvviso cambio di situazione: non vogliono accollarsi il nuovo arrivato per paura di rompere l’equilibrio dei due loro piccoli siriani, equilibrio tanto faticosamente raggiunto. Poi capiscono in quattro e quattr’otto e accettano la riunificazione dei tre fratelli sotto il loro tetto. A Carla non resta, con dolore, che tornare alla comunità per dare una mano ad altre infantili solitudini.
Se come dicevamo Avati, autore con il fratello Antonio del soggetto, patisce i ritmi narrativi imposti dal piccolo schermo, tuttavia non indulge in sdolcinatezze e patetismi. Ed è un piccolo capolavoro la scena dell’incontro, in un parco berlinese, dei tre fratellini, incontro preparato filmicamente piano piano, prima inquadrando di spalle un gruppo di bambini chinati in una fontana, poi altri che corrono appresso un pallone, faccette anonime che paiono escludere la finale agnizione. Che arriva però, con l’abbraccio liberatorio dei tre siriani e le lacrime di quella madre italiana adottiva per una manciata di giorni. Laura Morante, si diceva, offre alla macchina da presa tutte le sfumature del personaggio, dalla disillusione della moglie mollata senza preavviso alle carezze di una maternità surrogata e presto conclusa. Lina Sastri ha la tensione di una volontaria alle prese con storie di sofferenza e di abbandono. Michele La Ginestra, uno psicologo impegnato nella struttura e invaghito troppo presto di Carla, ha un eterno eccessivo sorriso stampato sulla faccia che spesso non risulta credibile. Mentre è credibile il faccino muto di Marhaba, alias Amor Faidi, un tunisino di 9 anni.
Resta comunque il plauso all’impegno di Pupi Avati, il quale ha detto di aver potuto realizzare con la Rai, e con il patrocinio di UNHCR e del Centro Astalli , un lavoro che i produttori cinematografici avrebbero rifiutato “perché il cinema ormai è svago puro”. Il cineasta bolognese si era anche dichiarato incurante della sfida con “L’isola dei famosi”, ieri alla prima puntata. E infatti i telespettatori hanno premiato il reality della Marcuzzi, che ha ottenuto il 26,87 % di share contro il 16,54 % del film e 5,5 milioni di italiani collegati mentre 4,6 hanno scelto Avati. Il quale in anticipo aveva chiosato: “Già vedo i titoli dei giornali: i migranti dell’Isola affondano i migranti di Pupi. La verità è che era troppo importante parlare di queste cose in televisione”.