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Così, dopo “Fauda” – la convincente serie israeliana che dipinge il mondo delle due fazioni in lotta a Gerusalemme (una lotta tornata virulenta con l’attuale intifada) – ieri all’Auditorium il pubblico ha potuto applaudire la seconda stagione di una fiction americana blasonata e pluripremiata, che peraltro la kermesse di Antonio Monda presenta in contemporanea alla messa in onda oltreoceano. Ha un titolo famoso, “Fargo”, lo stesso del film scritto e diretto nel 1996 dai fratelli Coen, migliore regia al Festival di Cannes e doppio Oscar, per la miglior sceneggiatura originale e miglior attrice protagonista, Frances McDormand. E, come la pellicola dei Coen, ha ottenuto lusinghieri premi.
La prima stagione, dieci episodi in onda dall’aprile 2014 sulla rete via cavo FX, è stata premiata con gli Emmy 2014 come migliore miniserie, ma anche per la miglior regia e miglior casting. Anche i Golden Globe 2015 hanno riservato riconoscimenti: miglior miniserie e miglior attore protagonista della sezione, Billy Bob Thorton. Del resto lo zampino dei Coen resta: i fratelli ne sono produttori esecutivi.
Ma la storia, anzi le storie delle due stagioni finora girate, sono differenti rispetto al film anche se il genere è il medesimo, quello del thriller e la protagonista della prima serie è, come nella pellicola, una poliziotta di grande fiuto che risolve il caso. Ciò che unisce invece il prodotto per il grande schermo, divenuto di culto, da quello per il piccolo schermo è il tono, l’ambientazione, lo stile, il colore diremmo. Per entrambi una provincia americana dove agiscono delinquenti in un milieu piccolo borghese, conformista e sonnacchioso. Lo sfondo è il Minnesota, nel nord degli Usa, cittadine gelide e ordinate, al punto che i Coen, riferendosi al set ambientato a Calgary, in Canada, hanno parlato di “Siberia con ristoranti per famiglie” mentre per lo sceneggiatore, Noah Hawley “Fargo non è un luogo, è uno stato mentale. E’ una vera storia criminale dove la realtà è più strana della finzione e i buoni devono affrontare qualcosa di terribile”.
E infatti, se l’agente Molly nel film manda in galera un venditore di automobili che, a corto di soldi, inscena il rapimento della moglie per spillare un milione di dollari al suocero e il piano del balordo finisce con quattro assassinii, nella prima serie della fiction un violento delinquente sconvolge la vita di un tranquillo municipio trascinando in un piano criminale un assicuratore ingenuo e senza successo.
E veniamo alla seconda stagione, della quale la Festa del Cinema ha proiettato i primi due episodi. E’ congegnata come un prequel della prima. Il plot si svolge nel 1979 e ruota attorno all’”incidente di Sioux Falls” menzionato nel corso della serie precedente, che segue invece vicende avvenute nel 2006. Protagonista ora è la famiglia mafiosa dei Gerhardt, origine tedesca e immigrati durante il nazismo, il cui boss, colpito da ictus, lascia la guida degli affari alla moglie Floyd, mentre il figlio minore Rye, cercando di ritagliarsi il ruolo di duro in famiglia, uccide tre persone nel corso di un’estorsione andata male.
Il giovane rimarrà poi vittima di un incidente stradale. A investirlo un’estetista, Peggy Blumquist (impersonata da Kirsten Dunst), che non ha il coraggio di denunciare l’incidente e nasconde il ferito a casa. Finisce malissimo per Rye, che verrà ucciso dal marito, un brav’uomo di macellaio. A indagare sugli strani avvenimenti un giovane agente di polizia, Lou, e uno sceriffo, Hank. Ma intanto la mafia di Kansas City vuole espandersi nella zona arraffando gli affari dei Gerhardt.
Il ritmo del thriller è sostenuto, gli attori funzionano, l’ambientazione è attenta. Ma l’appeal strano del “Fargo” visto ieri è che coniuga gli avvenimenti delittuosi con un umorismo nero zeppo di trovate e di reminiscenze cinematografiche. Oltre al “Fargo” dei Coen, c’è qualcosa che ricorda i loro “Il grande Lebosky” e “Non è un paese per vecchi”, lo stesso tipo di spietatezza che irrompe e cambia esistenze che avevano un corso agli antipodi.
Così succede per il macellaio. Progetta di rilevare un negozio tutto suo, di avere figli con la mogliettina bionda e zuccherosa, invece si trova a dover eliminare le prove del suo involontario assassino di Rye addirittura facendo del cadavere carne macinata. Gli effetti splatter non mancano, mai gratuiti ma generati dalla irrazionalità che guida come un fato la vicenda. E con colpi magistrali di cinema, come il rosso del sangue di una delle vittime che si mischia al bianco del bicchiere di latte su cui è stramazzata. Intelligente è la ricostruzione degli anni Settanta. Non solo negli abiti, negli oggetti, nelle vetture, ma anche nei riferimenti storici che trapelano dalle chiacchiere dei personaggi, il Watergate, Ho Chi Minh, il Vietnam.
E, raffinatissima scelta, nell’uso di un espediente tipico del cinema dell’epoca, lo split screen, ovvero la divisione a metà dello schermo, per mostrare ciò che accade in contemporanea in due luoghi diversi. Senza contare l’incipit divertentissimo, che in bianco e nero mostra l’ipotetico set di un ipotetico film, “Massacro a Sioux Falls” nel quale il protagonista Ronald Reagan tarda a presentarsi ai finti indiani che fanno da comparsa. Poi si avvia, a colori, il vero e proprio plot in quel curioso e feroce universo nel quale tutto può succedere.
In Italia la prima stagione di Fargo è stata trasmessa da Sky Atlantic.