Così, se su Gasparri pende ancora la colpa dell’attenzione mediatica su Fedez, almeno gli dobbiamo il riscontro positivo ottenuto da un prodotto ben realizzato. Il suo è stato un bacio della morte al contrario: appena è scattata la polemica strumentale, gli ascolti si sono alzati. Per l’esattezza: 14,41% di share al debutto, poi in crescita al 15% nella terza puntata. Nella puntata di mercoledì invece, senza i tweet di Gasparri sul “farabutto”, un leggero calo: 13,89% con 3milioni 524mila telespettatori.
Nella Rai 2 diretta da Ilaria Dallatana ha trovato spazio un personaggio tagliente, diretto, diviso tra l’incapacità di lasciare andare il ricordo della moglie morta e i casi da risolvere. Gli fanno da sfondo le montagne della Valle D’Aosta, raccontate da un fotografia in cui tutto sembra coperto da uno strato di freddo.
Schiavone è un uomo di grande contrasti: tanto burbero quanto profondo, pragmatico, sensibile ma a modo suo. Gli dà il volto Marco Giallini, che lo coglie con una smorfia corrucciata sul viso.
Una ragazza che cerca l’amica scomparsa, per il vicequestore Schiavone non è una missione: è un’immensa rottura. Specie se è lunedì sera, sono le dieci e mezza e lui sta mangiando in santa pace. Una rottura di cui però si occupa con dedizione: nel frattempo si fa versare un bicchiere di vino in faccia, etichetta in maniera ben poco gentile una scuola di figli di papà, risponde scontroso appena possibile, fa una carezza a una donna immobilizzata su una sedia a rotelle.
Ha un suo personalissimo codice etico, questo vicequestore spedito in Valle D’Aosta per punizione: se un uomo accusato di omicidio si scopre innocente, ma quello stesso uomo è stato sempre violento con la moglie, portandola a suicidarsi, Rocco Schiavone distrugge le prove che potrebbero scagionarlo. Perché è giusto che non la passi franca per il dolore che ha provocato.
L’imitazione di Edoardo Ferrario
Da Nero Wolfe a Maigret, da Jessica Fletcher al nostro Montalbano, investigatori e commissari sono un evergreen per letteratura e piccolo schermo. A differenza di celebri predecessori, le scelte di Schiavone sono maturate più dall’esperienza che da alti ideali morali: un protagonista imperfetto, insomma. Uno già è l’eroe della situazione, non può essere pure un esempio di spiccata levatura umana: è l’imperfezione, la debolezza, che rende credibile un personaggio. Soprattutto in tempi di crisi, quando tutto appare precario ed instabile.
Gli autori televisivi sanno benissimo che la gente si ammala di streaming per guardare le serie straniere, ma quello è proprio un altro campionato. Sembrerebbe invece che a Viale Mazzini si siano messi l’anima in pace: c’è una parte di pubblico che, qualora voglia guardare un santino, si rimira quello che tiene nel portafoglio. Ma soprattutto: tra un Don Matteo e le sanguinarie sparatorie di mafia tutte uguali, esistono altre narrazioni. All’estero lo hanno già capito da un pezzo: il dottor House, solo uno tra i tanti, era un genio medico quanto un essere insopportabile.
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Sempre su Rai 2, lo svampito Coliandro si è già rivelato un successo durante la stagione passata; Schiavone lo sta seguendo. È il segno che esiste una via al di là degli stereotipi: che con un personaggio a tutto tondo, possibilmente con una recitazione degna di tale nome, si può conquistare una fetta importante di spettatori. Magari giovani. Persino nella tanto bistrattata tv italiana.
Che Gasparri vegli sempre sulla fiction di casa nostra.