Una rigorosa deontologia professionale dovrebbe sempre guidare l’operato del giornalista.
I recenti casi di cronisti, che si sono distinti per un comportamento estremamente discutibile con l’invenzione e la costruzione di notizie completamente false, meritano una necessaria riflessione. Fulvio Benelli di Quinta colonna e dello spin off Dalla vostra parte, i due inviati di Striscia la notizia Fabio e Mingo, ed altri loro colleghi hanno evidenziato modelli inaccettabili di comportamento almeno per come sono stati presentati alcuni avvenimenti che li hanno coinvolti.
Intanto, da due personaggi come Fabio e Mingo, presenti nella famiglia del tv satirico di Antonio Ricci da 19 anni, non ci si attendeva nessuna ombra che potesse oscurarne la credibilità. Troppe volte abbiamo assistito, nel corso dei collegamenti esterni, a interviste con domande sempre più insinuanti per scavare nel privato degli interlocutori e cercare di scoprirne le presunte “magagne” stimolando, contemporaneamente, l’interesse e la curiosità del pubblico. L’obiettivo è, come sempre, incrementare gli ascolti.
Sono stata io a raccogliere, dieci anni fa, la decisione di Luca Zingaretti di voler abbandonare il commissario che gli aveva già regalato la massima popolarità. “Abbandonare Montalbano rappresenta per me una scelta doverosa”, mi aveva detto. E continuava con altre rivelazioni.
Qui l’intervista.
Ecco chi è Salvo Montalbano nelle pagine dei romanzi di Andrea Camilleri. Trovate tutto qui.
Lo scrittore parla del suo personaggio e svela tutto sul suo paersonaggio. L’intervista è qui.
All’ennesima replica, il Commissario Montalbano è più in forma che mai. Non mostra segni di stanchezza e di usura televisiva. Vigoroso e scattante, ad ogni passaggio fa svettare l’Auditel ai massimi storici, risultato eccezionale per le fiction replicate in modo ossessivo. Il fenomeno Montalbano ha solo due precedenti in tv: la saga della Principessa Sissi e la redenzione di Pretty woman. Prodotti che si sono fissati nell’immaginario collettivo della platea tv che li accoglie, ogni volta che riappaiono, con immutato entusiasmo.
Ma se Sissi e Pretty woman riscuotono un grande consenso, soprattutto dal pubblico femminile in cerca di romanticismo a tutti i costi, il fenomeno Montalbano non è così immediato. Innanzitutto possiamo affermare con certezza che il commissario, creato da Andrea Camilleri, interpretato in maniera magistrale da Luca Zingaretti, sarebbe stato perfetto anche con le sembianze di un altro attore. Zingaretti lo ha caratterizzato, in oltre dieci anni, con la sua cifra professionale che si è impressa nella mente degli spettatori ed ha superato persino i confini nazionali. Ma se, nel 1998 (anno d’esordio della serie in tv) Rai Fiction avesse scelto un altro attore per il ruolo del commissario di Vigata, il risultato sarebbe stato il medesimo.
Fragili, indifesi psicologicamente, vittime dello strapotere della tv. Pronti ad assorbire, dal piccolo schermo, tutto l’orrore che inonda i palinsesti ad ogni ora del giorno. Un orrore di cui i telespettatori più giovani non hanno piena consapevolezza perché, spesso, non riescono a elaborarne il significato. E allora, con altrettanto orrore si assiste a quanto è accaduto a Piove di Sacco, una cittadina in provincia di Padova. Nella scuola media locale, cinque ragazzini mettono in scena una decapitazione stile Isis. Con tutti i particolari raccapriccianti che hanno visto nei filmati, mandati impunemente in onda senza alcun rispetto per i telespettatori, da quasi tutte le emittenti televisive. La notizia, passata quasi inosservata, è di una gravità estrema: è la prova acclarata di quanto possa essere diseducativa e deleteria l’influenza sulla fragile psiche degli adolescenti di immagini terribili che andrebbero censurate.
Cinque ragazzini si sono bardati come i guerriglieri allestendo una finta decapitazione e, dopo aver ripreso il tutto, hanno messo in rete il filmato. L’orrore si è trasformato in un gioco perverso anche perchè i ragazzini avevano in mano un coltello vero e affilato. Dove erano i loro genitori quando nei Tg venivano trasmessi quei filmati? Ma soprattutto, sapevano i genitori che quelle immagini circolavano anche su Internet senza nessun filtro? Sapevano che, mentre sul piccolo schermo, la visione era interrotta poco prima della sconvolgente esecuzione, sul web tutto veniva mostrato nei minimi particolari? Chiunque poteva assistere alla ferocia incontenibile degli sgozzatori.
La visione reiterativa di simili barbarie ha generato in ragazzini di scuola media, l’identificazione e il desiderio di ripetere quanto avevano visto. In una perversa spirale di emulazione della violenza, così frequente nei giovanissimi, si è consumato un atto terribile da non sottovalutare. Sono questi i danni procurati dalla tv, da Internet e da tutti i mezzi mediatici quando non sono utilizzati in modo corretto e rispettoso per il pubblico. Sono le conseguenze aberranti di una perversione che continua a viaggiare tra social network, You tube e nuovi media comunicativi.
Carlo Conti non si è sottratto ad interviste prima dell’inizio del festival di Sanremo da lui gestito. Ma ha avuto un’abilità straordinaria nell’evitare le domande più “scottanti”, quelle finalizzate a captare anticipazioni sulla manifestazione e sugli ospiti. Se si provava a chiedere, nei corridoi di viale Mazzini, qualche notizia sugli eventuali personaggi che sarebbero saliti sul palcoscenico dell’Ariston, quasi tutti si trinceravano dietro un “non so nulla”. Conti è stato bravo nel centellinare le notizie e tenere desta l’attenzione su uno dei pochi festival senza polemiche.
E’ accaduto anche questo nel corso della settimana in cui è andato in onda il festiva. Leggete qui
.Pagelle preventive sui motivi in gara? Esistono e le trovate qui
Un’Italia che, almeno sul palcoscenico dell’Ariston, ha mostrato la sua faccia migliore. Quella di un Paese ripulito da ogni volgarità televisiva che può concedersi il lusso di sperare nel tanto auspicato rispetto per il telespettatore. Un’Italia che ha trovato in Carlo Conti il suo rappresentante migliore: il professionista, mai sopra le righe, che ha ripristinato le vecchie regole della liturgia sanremese rivisitandole all’insegna della cross- medialità. Per una settimana, tra palinsesti svuotati di contenuti concorrenziali, la 65esima edizione del Festival di Sanremo, ha riunito sotto la comune bandiera delle canzonette, un popolo desideroso di evasione dall’asfissiante cronaca nera e dalla grossolanità di programmi ripetitivi.
Carlo Conti ha catalizzato l’attenzione di dieci milioni di telespettatori su una formula spettacolare che, pur presentando alcuni aspetti meno consoni al target di Rai1, ha saputo assorbirli, renderli inoffensivi. La drag queen Conchita Wurst, la rappresentazione di un matrimonio gay proposta nell’intervento di Luca e Paolo, l’infelice battuta di Alessandro Siani rivolta ad un bambino obeso, la RIP-parade sugli artisti scomparsi legati alla kermesse sanremese, sono soltanto alcuni esempi di una intemperanza ridimensionata dalla garbata presenza di Conti.
Accomunati dal medesimo desiderio di “apparire” nel migliore dei modi e di fornire l’immagine più rappresentativa di sè. I signori del Palazzo e i personaggi del mondo dello spettacolo sono sempre estremamente attenti al mondo della comunicazione. Studiano con attenzione le proprie interviste e preparano gli interventi con metodica pignoleria.
Una volta c’erano gli intrighi di corte, non differenti da quelli che regnano oggi nei Palazzi del potere. Per saperne di più consiglio questo articolo
La fiction made in USA di intrighi politici ne offre fin troppi. Come questi, ad esempio.