La contaminazione tra politica e spettacolo è sempre stata una costante del piccolo schermo. Sui palazzi del potere hanno sempre imperversato la satira, la parodia, l’ironia tagliente, persino lo sberleffo di bassissima lega. Comici e imitatori hanno costruito, spesso, la propria carriera, trasformandosi in cloni, più o meno credibili, degli inquilini di Montecitorio e palazzo Madama. Mai, però era accaduto che la provocazione della satira si spingesse al punto da coinvolgere direttamente personaggi del mondo dello spettacolo come possibili candidati alla Presidenza della Repubblica.
Ha iniziato Claudio Sabelli Fioretti, conduttore del programma Un giorno da pecora, in onda su Rai2, a fingere di accettare la candidatura per il Quirinale. Il web, inoltre, ha utilizzato e strumentalizzato il personaggio più amorfo del mondo dello spettacolo televisivo: Giancarlo Magalli trasformandolo in un simbolo alternativo di una nuova Repubblica di cui avrebbe potuto essere il Presidente. Ma il gradino più basso è stato raggiunto con l’ennesima boutade. Questa volta a creare il caso è stata Radio Città Futura: l’emittente si è spinta addirittura a candidare un personaggio come Chef Rubio, il noto esponente televisivo dello street food, consacrato nel programma Unti e bisunti di stanza su DMax.
La dissacrazione satirica ha fatto intravedere, quindi, una Repubblica dell’unto e del bisunto che, finalmente, avrebbe avuto una solenne investitura con lo Chef più “campagnolo” d’Italia.
Tre episodi significativi di una tendenza preoccupante. E’ un dato di fatto che la politica non riesca più ad esprimere esponenti di valore e con qualità morali irreprensibili. Infatti si assiste ad un continuo degrado della credibilità all’insegna di litigi e finti dibattitti in nome “del bene del Paese”. Ecco allora venir fuori la proposta di individuare, ironicamente, un personaggio simbolo, capace di raggruppare tutti gli italiani sotto un’unica bandiera. E l’unico settore in cui poterlo trovare è il mondo della tv accomunato a quello della politica dai medesimi contenuti: ipocrisia, litigi e finti dibattiti.
Provate a chiedere ad un attore di fiction quali sono i suoi programmi preferiti in tv. Risponderà, con sussiego, che non segue il piccolo schermo, tanto meno fiction e intrattenimento. Saltuariamente, volge le sue attenzioni ai grandi film, alle serie statunitensi, ai notiziari e ai documentari scientifici delle tv tematiche. Ma se chiedete quali sono i suoi progetti professionali futuri, vi accorgerete che la sua agenda è piena di impegni televisivi che partono dalla fiction, naturalmente.
Renzo Arbore è certo che esiste la concreta possibilità di un piccolo schermo più rispettoso. E lo rivela qui.
Leggete questo tema sulla tv svolto da uno studente.
Il rituale si ripete. Alla fine di ogni anno, il telespettatore inizia a sperare che la tv possa cambiare in meglio. Disgustato dalla deprimente realtà dei 365 giorni appena trascorsi, si augura che, nell’anno che verrà, i programmi possano crescere nei contenuti e nella creatività magari con idee originali e senza volgarità.
Auspica che vengano realizzati finalmente programmi sobri all’insegna del buon gusto, privi della martellante cronaca nera, del gossip e del trash.
Si illude che possano sparire i tele-becchini, le conduttrici pronte a solleticare il voyeurismo con morbose curiosità e gli inviati disposti a tutto per conquistare la notizia sensazionale da spacciare come lo scoop della serata.
A fine anno il telespettatore vuole credere in un futuro televisivo migliore nel quale ci possa essere, anche per i giovani, la possibilità di crescere e far conoscere le proprie capacità. Insomma, un piccolo schermo che sostenga anche il ricambio generazionale. Un piccolo schermo dal quale vengano allontanati, e spediti in pensione, i soliti volti noti che, per decenni, hanno imperversato su tutti i canali guadagnando cachet da capogiro e accumulando consistenti patrimoni.
Il telespettatore vuole credere in una tv che privilegi idee nuove con sperimentazioni originali e promuova l’affermazione di nuovi artisti nei settori più vari. Una tv nella quale, finalmente, la meritocrazia premi chi davvero ha talento.
Qual è la destinazione del cibo che avanza alla fine di ogni puntata degli infiniti talk show televisivi? Alcuni programmi, come ad esempio MasterChef, ci tengono a far sapere che viene dato ad associazioni benefiche. Per le altre trasmissioni non si sa: il dubbio di uno spreco, purtroppo, rimane. E in tempi di spending review sarebbe davvero imperdonabile
il piccolo schermo è davvero invaso da pasticcieri più o meno amatoriali che hanno le mani in pasta dappertutto? Scopriamolo qui
I migliori dieci programmi di dolci in tv? Eccoli.
E’ l’ultima frontiera del cooking show, ammicca maliziosamente ai peccati di gola, solletica il palato, evoca sapori antichi, sdogana un universo di pericolose dolcezze. E’ la moda delle “trasmissioni da forno” o meglio delle “trasgressioni da forno”, programmi nei quali, l’unico obiettivo è sfornare invitanti torte e tortini, delizie di pasticceria, destreggiandosi tra montagne di cioccolata, panna, canditi e quant’altro ancora.
E’ la new television della grande e piccola pasticceria, dei cake designer, dei boss delle torte, che ha introdotto gli attoniti telespettatori un mondo proibito e trasgressivo perchè ritenuto colpevole di eccessi di colesterolo, picchi glicemici e chili di troppo. Anche perchè l’amore per i dolci mal si concilia con le antiestetiche “maniglie dell’amore”.
Signore come Antonella Clerici e Benedetta Parodi, hanno risvegliato, nel pubblico, desideri nascosti e inconfessati portandoli clamorosamente allo scoperto. I loro”cake show” proposti in tutte le salse più accattivanti, ci hanno convinto che “dolce è bello” e soprattutto “buono”. Niente più demonizzazione, dunque, di dessert e profitteroles, ma un approccio nuovo che ha anche un altro obiettivo: colorare la grigia routine quotidiana e magari “affogare” in un irresistibile affogato al caffè le contrarietà di una brutta giornata.
Renzo Arbore è uno dei più accaniti sostenitori di un ritorno alla sobrietà e all’eleganza nei palinsesti televisvi. E dice basta alla volgarità sul piccolo schermo. Come potete leggere qui.
Luciana Littizzetto basa la sua comicità su un linguaggio troppo spesso non idoneo alla prima serata nella quale interviene come “opinionista” all’interno di Che tempo che fa. Il Moige (Movimento Italiano genitori) si è così espresso.
Oggi i comici che partecipano ad uno show televisivo scrivono personalmente i propri interventi. Un tempo non funzionava così. L’ospite di un programma di intrattenimento riceveva, da parte degli autori del programma, il contenuto del monologo previsto per lui: qualche paginetta che doveva essere “imparata” a memoria. Non ha fatto eccezione, negli anni 70- 80 neppure Paolo Villaggio. Il comico, però, non amava imparare i testi che gli erano stati preparati e tentava sempre di riproporre le vecchie gag del suo repertorio destando spesso l’irritazione degli autori.
Sembrano trascorsi anni luce da quando Leopoldo Mastelloni, per aver bestemmiato in diretta, venne allontanato dalla tv per dieci anni. Era il 1984 e all’artista sfuggì una parolaccia nel corso del programma Blitz condotto da Gianni Minà.
Oggi la volgarità impera sovrana sul piccolo schermo. La parolaccia è stata definitivamente sdoganata ed ora pretende anche di rivestirsi di un’aura radical chic nei salotti trash dell’intrattenimento. Nessuno è immune dal virus della parolaccia e il fenomeno dilaga da un capo all’altro dell’etere. Ha contagiato progressivamente Avanti un altro, Made in Sud, Zelig, gli interventi di Maurizio Crozza, passando per il programma radiofonico cult Un giorno da pecora, travolgendo Le Iene per arrivare fino a Striscia la notizia.
Termini, una volta considerati sconci, sono oramai una consuetudine, un intercalare, una sorta di vezzo volgare che persino signore ritenute ben educate non esitano a inserire nel loro linguaggio quando sono sotto i riflettori della tv.
Siamo dinanzi ad un progressivo imbarbarimento della lingua italiana e della creatività autorale che investe anche il settore della comicità. La conseguenza è una decrescente capacità, da parte degli scrittori satirici, di leggere i cambiamenti della società e della politica in chiave incisiva, efficace, dissacrante, ma contenuta nell’ambito di una valenza ironica, elegante e che invita alla riflessione.