La litigiosità e le discussioni sopra le righe rappresentano una consuetudine anche in altri salotti televisivi. La dialettica gridata è considerata foriera di ascolti. Prima che la telecamera si accenda, i partecipanti al talk, di solito si intrattengono amichevolmente scambiandosi opinioni. Ma appena si va in onda i toni pacati lasciano il posto all’aggressione gratuta. Tutto per mettersi in evidenza: creare la zuffa implica ricevere un ulteriore invito dai conduttori assetati di ascolti
In campagna elettorale i partecipanti ai talk show politici devono obbedire a regole specifiche per farsi notare dai telespettatori. Eccole.
Ed ecco il decalogo per una tv migliore. Ma attenzione…non tutto è come sembra.
Si sono moltiplicati all’infinito dividendosi briciole d’audience. Si scontrano in lunghi, estenuanti duelli televisivi, in studi trasformati in campi di battaglia. Tutto per qualche frammento di share.Sono i talk show politici che non riescono più a sopravvivere a sè stessi. Come i capponi di Renzo, nei Promessi Sposi, si beccano senza pensare alla fine imminente: cercano lo scoop, l’escamotage giusto per avere la meglio sui “concorrenti”.
Il crollo di Servizio pubblico, e prima ancora di Ballarò, sono i casi più recenti di un trend che dura da almeno un anno ma dinanzi al quale si e’ preferito chiudere gli occhi piuttosto che prendere coscienza della realta’ e correre ai ripari.
Risultato: la rincorsa all’audience da parte dei talk show si è trasformata in una guerra tra nuovi poveri. Tre lunghe ore di chiacchiere, discussioni, confronti, per conquistare, nel migliore dei casi, uno striminzito 4 o 5% di share, al massimo con qualche decimale in più. Accade, proprio questo, il lunedì sera, tra Quinta colonna su Retequattro e Piazzapulita su La7.
Il confronto si consuma tra il populismo retorico, con sottofondo “borgatar-popolare” di Paolo Del Debbio e la scuola santoriana di Corrado Formigli che insegue gli schemi del maestro ma non e’ mai riuscito a trovare la strada maestra per ottenere maggiori consensi.
Sta assumendo i connotati di una guerra tra “nuovi poveri decaduti” anche il confronto tra Ballarò (con la conduzione di Massimo Giannini) e diMartedì (del transfuga Giovanni Floris). Floris ha voluto abbandonare il proprio “castello” per costruirne un altro in una zona pericolante e colma di insidie che non riesce a bonificare.
Terreno di scontri anche il giovedì. Su La7 è ritornato Michele Santoro con Servizio pubblico, su Rai2 c’ è in agguato il Virus di Nicola Porro che, nonostante il sottotitolo “il contagio delle idee”, si è rivelato davvero poco contagioso. Porro si è spostato su Rai2, dal venerdì al giovedì che era la classica collocazione del talk show della seconda rete, fin dai tempi di Santoro.
Terence Hill, Maria De Filippi e Michele Santoro sono maestri della comunicazione. Gestiscono i rapporti con i mass media in maniera efficace, dosando le interviste e cercando di non inflazionare la propria immagine. E’ uno dei motivi per i quali riescono, sempre, ad essere al centro delle attenzioni e a fare notizia. E sanno, anche, sapientemente, tenersi lontani dal gossip.
Un critico che non ama davvero Maria De Filippi. E la definisce “burattinaia dei poveri cristi”.
Ricordate la puntata di Servizio pubblico con Silvio Berlusconi? Santoro fu sommerso dalle critiche
Personaggi che dividono nettamente il pubblico in due schieramenti. Signori del piccolo schermo che suscitano sentimenti contrastanti: o si amano o si odiano. Senza via di scampo.
Ne abbiamo individuati tre nell’attuale panorama televisivo: Don Matteo, Maria De Filippi e Michele Santoro. Rappresentano i tre settori principali della tv: la fiction, l’intrattenimento e l’informazione. Tre personaggi di altissima valenza comunicativa, vezzeggiati e coccolati dalle emittenti a cui appartengono che, con i loro prodotti, fanno il pieno di ascolti. Ma capaci, nello stesso tempo, di suscitare sentimenti contrastanti. Per loro non vale il detto “in medio stat virtus”. Per loro solo ipotesi estreme.
Don Matteo, interpretato da Terence Hill è il prete per eccellenza di Rai1. Le serate, nelle quali è protagonista, consegnano milioni di telespettatori e grandi introiti pubblicitari a Rai1, la rete che trasmette la serie. Don Matteo è amato dal pubblico generalista più tradizionale che vede nella sua tonaca e nel suo linguaggio comprensivo un rassicurante modello di comportamento. Poco importa se, nel corso di nove serie, non ha mai celebrato una messa. In compenso ha liberato prima Perugia e adesso Spoleto da una folla di pericolosi assassini che vengono puntualmente assicurati alla giustizia dal suo fiuto da detective fatto in casa. Fiction semplicistica, banale, ripetitiva, fiction per anziani, camomilla: sono alcuni dei più benevoli commenti dei detrattori di Don Matteo, contro il quale si sono pronunciati anche personaggi chiave della tv come Carlo Freccero e Pippo Baudo.
Tutte le volte che un giornalista chiede ad un personaggio dello spettacolo i motivi del suo ingente cachet, sente sempre la stessa risposta: “perchè i miei programmi portano investitori e quindi guadagni per l’azienda. E’ giusto che, allora, il conduttore venga retribuito in proporzione agli introiti della trasmissione che conduce”. Narcisismo e tracotanza oltre i limiti della decenza
Avete un’idea di quanto possa costare un passaggio pubblicitartio sul piccolo schermo? Qui la risposta
Già nel 2007 l’Unione Europea ammonì l’Italia per la troppa pubblicità contenuta nei programmi televisivi. Purtroppo, non solo non è cambiato nulla, ma la presenza degli spot addirttura è aumentata
Martellante, invadente, fastidiosa, subdolamente persuasiva, studiata per colpire l’immaginario collettivo con visioni accattivanti, reiterate colonne sonore, frasi ad effetto, in grado di insinuarsi in maniera convincente nella mente dei telespettatori: è la pubblicita’ televisiva che ha anche la presunzione di assumere le caratteristiche di una forma d’arte. Coinvolge i palinsesti in maniera trasversale, forte del narcisistico protagonismo dei personaggi ai quali si affida. Oramai è un must calarsi nel ruolo di testimonial di uno spot, vendere la propria immagine ad un brand, un marchio in cambio di cachet elevati.
La pubblicita’ non e’ più quella del vecchio caro Carosello, garbata, familiare, discreta, semplice. E’ divenuta una sorta di incubo che interrompe improvvisamente, e spesso senza alcun senso logico, show, fiction, intrattenimento, talk show, persino avvenimenti sportivi. Zittisce all’istante i personaggi della tv, strappa la parola per imporre pseudo consigli per gli acquisti. L’obiettivo è sempre lo stesso: spingere il pubblico ad acquistare quel determinato prodotto.
Scagli la prima pietra quel personaggio che non ha mai ceduto alle lusinghe economiche della pubblicità. Scagli la prima pietra chi non ha mai pensato di arrotondare le già pingui entrate con i proventi della réclame. Fare il testimonial è divenuto un mestiere, una professione che si potrebbe indicare persino sul biglietto da visita. Molti artisti, la cui popolarità è in fase discendente, sono costretti a vendersi al miglior offerente, ovvero al brand piu conveniente. Giorgio Mastrota, con i suoi materassi, è un esempio di come la pubblicita può allungare la vita professionale e gonfiare i portafogli: un’ ulteriore dimostrazione di come, pur restando relegati in spazi secondari della tv, si riesce a sopravvivere. Sempre meglio che lavorare sul serio.
Esiste un legame tra calcio e cucina? Sembre proprio di si. Antonella Clerici, ad esempio, nata come personaggio sportivo si è votata ai fornelli
Succede anche questo per i diritti del calcio in tv.