Il vecchio assioma che voleva le donne lontane dal calcio è definitivamente superato. Anche le telecronache oggi sono spesso affidate alla competenza femminile che su calci d’angolo, dribbling, contropiedi e fuori- gioco non ha nulla da invidiare alla capacità dei colleghi maschi. Parliamo di professioniste, naturalmente, non di figure di secondo piano come Alba Parietti o Cristiana Capotondi che predendono di fare le “opinioniste” di calcio.E destano solo ilarità
Una passione che coinvolge e trascina. Una sorta di delirio collettivo, in grado di bloccare intere nazioni e incollarle dinanzi alla tv. Un evento che, eccezionalmente, riesce a unificare il nostro paese accentuando il senso dell’unità nazionale e suscitando un occasionale patriottismo all’ombra del tricolore. La bandiera viene ostentata come simbolo di riconoscimento, sbuca fuori dalle soffitte in cui era stata relegata o viene venduta da ambulanti improvvisati che abbandonano momentaneamente la loro merce per proporre solo i gadget necessari per elevare all’ennesima potenza l’esaltazione patriottica. La Nazionale italiana in campo riesce a sintonizzare sulla stessa lunghezza d’onda strati sociali differenti, annullando le distanze anche culturali.
La proverbiale capacità dei nostri connazionali di trasformarsi in Commissari Tecnici, fa si che nei bar, negli uffici, sui posti di lavoro, si aprano dibattiti e confronti su un argomento alla portata di tutti. Apparentemente si chiama “tifo”, invece e’ la febbre da Mondiali di calcio che arriva ogni quattro anni e coinvolge tutte le Nazioni partecipanti al torneo. Il fenomeno si amplifica a livelli parossistici nei paesi latino- americani che esorcizzano nel calcio il degrado e la povertà da cui sono afflitti. Significativi, in proposito, i numerosi suicidi avvenuti, in passato, in Brasile, in occasione dell’inaspettata eliminazione della squadra dal torneo, nelle fasi finali. Passano gli anni e l’isteria collettiva si ripete. Il deplorevole episodio del morso di Suarez a Chiellini nel match Italia-Uruguay, nella patria di Suarez non è stato condannato. Addirittura il calciatore è stato accolto come un eroe nazionale e lo stesso Presidente della Repubblica ha giudicato ingiusta la sanzione inflittagli.
La difesa dei minori e il sacrosanto rispetto che la tv deve al telespettatore sono due difficili campi di battaglia: ci si scontra con le perverse logiche aziendali finalizzate esclusivamente alla rincorsa del telespettatore. Mai abbassare la guardia dinanzi all’indifferenza alle critiche di dirigenti e conduttori. Migliorare il piccolo schermo deve essere un impegno morale da parte di ciascuno di noi.
Il quotidiano cattolico L’Avvenire ha partecipato al convegno e così ha presentato ai suoi lettori le relazioni degli intervenuti: Rai, nuovo patto con più qualità
L’agenzia di stampa quotidiana nazionale Prima Pagina News riportava in questi termini i lavori del convegno
Rinnovare la convenzione della Rai con lo Stato significa rinnovare il patto di fiducia con i telespettatori, all’insegna, innanzitutto, di una nuova sensibilità verso le categorie di utenti più fragili psicologicamente come i bambini e gli adolescenti. Sono necessari, inoltre, un’informazione imparziale lontana il più possibile da pressioni politiche, un servizio di approfondimento delle realtà locali e regionali dando spazio alle sedi regionali che rappresentano una grande risorsa per l’azienda Rai. Il patto di fiducia (televisiva) con i telespettatori implica una divulgazione scientifica e culturale che non sia relegata soltanto nelle seconde tarde serate delle reti generaliste ma possa arrivare alla fascia più ampia di utenti in orari accessibili. Significa anche e soprattutto realizzare una programmazione che bandisca il facile voyeurismo basato su cruenti casi di cronaca nera analizzati nei minimi particolari e riproposti, come un tormentone quotidiano, per la conquista di una facile audience.
Il patto di fiducia con gli italiani deve necessariamente implicare la rinuncia a qualche punto di share in funzione della qualità dei prodotti: tocca alla tv commerciale rincorrere gli ascolti: la tv pubblica ha il compito di affidarsi ad una programmazione che abbia come punto di riferimento lo spirito formativo degli esordi. In quest’ottica sarebbe auspicabile anche una proficua collaborazione con Università e Istituzioni culturali: l’obiettivo è portare in video per la platea giovanile, programmi di formazione in una collocazione nel day time. La sinergia con docenti ed esperti universitari rappresenterebbe il valore aggiunto per la tv di servizio pubblico che dedicherebbe maggiore attenzione alla fascia degli studenti. Tale sinergia potrebbe consolidarsi anche con inchieste, reportage, servizi giornalistici che mettano in evidenza la reale situazione della popolazione universitaria italiana e l’adeguamento degli studi alla effettiva realtà lavorativa nella quale dovranno proiettarsi. Un parallelo con le altre realtà degli Atenei europei e statunitensi potrebbe completare il quadro d’insieme.
Mai urtare la suscettibilità dei personaggi che diventano giudici di gara con domande del tipo : “non le sembra riduttivo calarsi in un tale ruolo?” Saranno pochi a rispondere con semplicità “ho accettato perchè mi divertiva e volevo tornare in tv dopo una lunga assenza”. L’unico al quale bisogna riconoscere questo merito è Pippo Baudo che è stato voluto da Carlo Conti nel programma Si può fare! proprio in qualità di giudice. Tutti gli altri si lanciano in un’accorata difesa della grande validità dell’essere giudice oggi.
La figura del giudice più nota è stata certamente quella di Santi Licheri che ha gestito le cause a Forum fin dall’inizio del programma nel 1985.
Una maniera ironica per sdrammatizzare il passaggio di Italia’s got talent da Canale 5 alla piattaforma Sky
Deponiamo le competenze in soffitta. Per diventare “giudici di gara” in Italia non servono diplomi, specializzazioni, carriera nei vari settori di valutazione. E’ necessaria solo la volontà di sindacare, valutare, apprezzare o condannare, con la consapevolezza di esprimere opinioni di tutto rispetto. Addirittura insindacabili e inoppugnabili.
E’ questa l’etichetta del moderno giudice in tv. Oramai a calarsi nel ruolo ci hanno provato un po’ tutti e molti altri “insospettabili” si faranno avanti. Da Gigi Proietti a Pippo Baudo, da Christian de Sica a Sabrina Ferilli, da Claudia Gerini a Claudio Lippi: il variegato mondo del “valutatore” televisivo è sempre più affollato. E’ un pullulare di personaggi che, spesso, non hanno un ruolo proprio in tv, mancano di visibilità e cercano in tutti i modi di conquistare un posto al sole artificiale dei riflettori.
Con questo fine neppure troppo recondito, ci si mette a giudicare, in un paese nel quale ci sentiamo un po’ tutti commissari tecnici quando gioca la Nazionale di calcio o la squadra del cuore. E ci sentiamo tutti critici televisivi, condanniamo, approviamo, valutiamo le performance di conduttori, attori, opinionisti. Siamo soprattutto un popolo che ha sentito, troppe volte, assegnare al nome di giudice etichette negative. Giudice fazioso, di parte, giudice prevenuto: soprattutto in politica di questi termini se ne son sentiti fin troppi.
Seguire, anno dopo anno, il GF può nuocere gravemente alla salute mentale degli addetti ai lavori. Si rischia una sorta di alienazione alla “non aprite quella porta”. E’ il motivo per il quale, con scedenza biennale o triennale, coloro che seguivano, per motivi di lavoro, le avventure dei reclusi nella casa, hanno richiesto un cosiddetto “anno sabatico”. Serve per disintossicarsi dall’incubo e dalla irrealtà nei quali il reality fa precipitare. Accade, insomma, come agli psicanalisti che, ogni sei mesi circa, vanno a loro volta in analisi per verificare la “tenuta” del loro stato mentale.
Era tanto il timore di ascolti devastanti, che Mediaset aveva preparato un piano strategico tenuto segreto, poco prima dell’inizio del GF13. Consisteva in questo
E che dire dei primi scialbi opinionisti? Questo!