Se esistesse uno strumento per la misurazione della violenza, assorbita attraverso la tv, andrebbe in tilt molto presto. Perchè registrerebbe i valori massimi solo dopo poche ore di esposizione al tubo catodico. Avremmo così la conferma scientifica che gli spettatori sono vittime (a volte inconsapevoli) di una tele-violenza che si manifesta sotto forme differenti: violenza intellettuale, fisica, morale, psicologica e, col tempo, dosi sempre crescenti possono procurare seri danni. A volte si perdono finanche i riferimenti delle regole civili di convivenza.
La violenza in tv è presente ovunque: dai Tg alle trasmissioni di informazione, nel comportamento dei cronisti che “aggrediscono” gli intervistati per estorcere dichiarazioni a qualsiasi costo, nei programmi di intrattenimento, persino nel varietà, nei documentari scientifici e nei cartoni animati. Sotto gli occhi del telespettatore la violenza assume molto più delle cinquanta sfumature di grigio: quel drammatico grigio che avvolge un po’ tutta la programmazione.
La violenza verbale nei talk show viene declinata ai massimi livelli: è un vanto alzare il tono della propria voce per sovrastare quella degli altri in un crescendo di urla e insulti. In contenitori come Pomeriggio 5, Linea gialla, Uomini e donne, e spesso anche ne La vita in diretta, si fa violenza sul pubblico cercando di compiacere quel morboso voyeurismo che, forse, mai nessuno avrebbe immaginato di possedere.
Si alletta il telespettatore con i peggiori avvenimenti di cronaca nera: morti, assassini, sangue, stragi, delitti, scomparse misteriose, scandali e baby squillo. Si concede visibilità a delinquenti più o meno noti, se ne invitano i parenti in studio che li descrivono come persone degnissime. In quest’ottica vanno inquadrate le interviste di Barbara D’Urso a Michele Misseri al quale la conduttrice si rivolgeva con l’amichevole appellativo di “zio Michele”. Da segnalare, inoltre, le interviste, realizzate da programmi come Le Iene, a Schiavone, pentito di camorra, sul disastro ecologico della Terra dei Fuochi in Campania. Interviste che venivano poi riproposte in numerose altre trasmissioni.
In tal modo la tv, in nome dell’audience, tenta processi di “beatificazione” e di sdoganamento di personaggi equivoci e discutibili. Conduttori compiacenti si prestano a simili operazioni dinanzi alle quali la fascia di spettatori (la più fragile psicologicamente) acquisisce dei messaggi devianti. Si perdono così quei precisi riferimenti morali che separano il bene dal male. I personaggi, anche i più trash possibili, sanno che recarsi in uno studio televisivo, con la benedizione dei conduttori, significa uscirne rivalutati o quantomeno si riesce a insinuare negli spettatori il dubbio sulla scorrettezza dei loro comportamenti. La presenza di Lele Mora, della madre di Fabrizio Corona e della figlia di Vanna Marchi in programmi di informazione e di intrattenimento come Verissimo, sono degli esempi significativi del tentativo di riabilitazione televisiva.
Una recente inchiesta di Io donna, il settimanale del sabato del Corriere della sera, si chiedeva “Ma la violenza è davvero pericolosa”? Ecco la risposta
E l’Aiart (Associazioni Spettatori onlus) ritiene dannosa e intollerabile la violenza in tv. Lo fa attraverso questo servizio
Il professore universitario, giornalista e analista Gianpiero Gamaleri, ex componente del CdA della Rai, ha scritto un libro sull’argomento: Un orco di nome schermo: quale violenza delle immagini.
Dalla biografia di Francesco Facchinetti:
Prima ancora che in tv infuriasse la guerra dei fornelli, lui incise Bella di padella.
Presto dalla padella cadde nella brace: finì rosolato sulla spiaggia de L’isola dei famosi. Qui si innamorò della bella Aida, poco celeste ma molto terrestre e divenne uno Yes-.pica man. Ma durò poco e l’amore giunse all’ultima spiaggia per poi affogare nel gran mar dei Caraibi. Ancora, però, il giovanotto non aveva imparato a perdere. Fortunatamente, dopo il terzo insuccesso televisivo, si consolò Omnia tria perfecta sunt. E capì di essere affetto dalla contagiosa sindrome da immunodeficit televisivo acquisito.
Ma ecco, finalmente un successo: la donna dal cuore facile ma dall’intestino difficile gli aveva detto si. Fu un amore cieco che oscillava tra il tenue e il crasso, senza perdere di vista il colon. Un amore che presto si rivelò un “bifidus irregularis”
E’ possibile un’altra fiction italiana? Qui si potrebbero trovare delle risposte
Lo scorso anno, dal 28 ottobre al 20 novenbre andò in onda la serie Questo nostro amore con Neri Marcorè, Anna Valle e Debora Caprioglio. Happy end finale assicurato. Ma è in agguato la seconda serie. E l’amore tra i due protagonisti subirà uno scossone.
E qui una breve rassegna stampa sempre su Questo nostro amore
E vissero tutti felici e contenti. C’era una volta l’happy end. Come nella letteratura favolistica, anche nel classico sceneggiato televisivo, il sipario calava sempre sulla conclusione felice della storia raccontata. Era l’attesa gratificazione per i protagonisti che, dopo le innumerevoli tribolazioni previste dalla sceneggiatura, finalmente, conquistavano la tele-felicità.
Lentamente qualcosa è cambiato. Ed oggi l’happy end, il lieto fine, non è più assicurato, è divenuto un valore precario, pronto a essere rimesso in discussione. La tv si è adeguata alla vita reale, distruggendo, anche nell’immaginario collettivo del pubblico, la certezza della felicità finale.
Nella società di oggi si vive all’insegna della provvisorietà, con un alternarsi di situazioni in bilico tra la speranza e il dubbio. Viviamo come nel gioco del Monopoli, tra imprevisti, probabilità e penalizzazioni. La crisi economica, con tutte le inevitabili complicazioni, sconvolge, in maniera differente ma continuativa, l’esistenza di tutti. E finisce, inevitabilmente per compromettere anche i rapporti sociali, le relazioni, persino gli stessi sentimenti. La ricerca di un benessere, non solo materiale, diventa sempre più affannosa. Si rincorre una felicità mutante, instabile, precaria, sfuggente. Nella vita reale come nella fiction scenica.
In un periodo in cui statistiche e sondaggi hanno confermato che un matrimonio o un rapporto di coppia dura al massimo quindici anni, anche la fiction televisiva non può più celebrare l’amore eterno e indissolubile. Sarebbe anacronistico. L’amore diventa così temporaneo e, come il lavoro, è a scadenza. Spesso, addirittura, è oggetto di veri e propri contratti, come riferiscono le cronache hollywoodiane a proposito di star che arrivano a stabilire persino la data precisa dell’ inizio e della fine del rapporto di coppia.
Fanta-puntata di Ballarò che si occupa dell’ennesima manovra finanziaria.
In studio i tre ministri interessati: dell’Economia e Finanze, dello Sviluppo economico, Infrastrutture e Trasporti.
Prima di iniziare, Crozza vuol essere sicuro della loro presenza e chiede a Floris: Ci sono quei gran figli della troika?
Rivolgendosi al titolare dello sviluppo Economico:
Signor Ministro, il Bilancio dello Stato è diventato un bilancino. Le nostre casse nazionali soffrono di una pericolosa sindrome da immunodeficienza acquisita che ha portato al prosciugamento totale del capitale d’Italia. Ci era rimasta solo Roma prima che fosse prosciugata dai parenti di Alemanno. Dobbiamo risparmiare. Ed io apprezzo il suo richiamo agli italiani a crescere, ma non a moltiplicarsi: oramai sappiamo fare i conti solo con la sottrazione e la divisione.
Rivolto a Giovanni Floris:
Vedi, Giova, la verità è che il nuovo governo ci ha ridotti a fette, peggio di Salvo Sottile a La7, siam diventati Sottilette. Siamo così magri che al confronto Fassino sembra l’uomo cannone. Ho saputo, e lo rivelo qui in anteprima, che sta per essere varata una nuova misura: ciascuna persona fisica, per il fatto di vivere e consumare, proporzionalmente all’età ed alla statura, sarà soggetta ad un canone annuale. Per risparmiare sull’imposta, dunque, si dovrà essere bassi, magri e vivere poco.
Poi si rivolge al Ministro per lo Sviluppo Economico: So che Silvio Berlusconi vi ha fatto una proposta per rendere gradevole agli italiani i versamenti delle imposte. L’ex Premier vi mette a disposizione, per pagare, la sede distaccata di via dell’Olgettina. A riscuoterle una particolare categoria di dipendenti, le Tax- escort che si lasceranno denudare in maniera interessante. Ad ogni tassa pagata il contribuente toglierà un indumento alle esattrici. Bello davvero il risultato: la stangata fiscale diverrà una piacevole stangatina e il contribuente avrà tutto l’interesse a chiudere al più presto le imposte: spogliando la Tax-escort, non si accorgerà di essere stato a sua volta spogliato. Dopo la politica a luci rosse, il fisco a luci rosse.
Ha capito, Giova? Finalmente hanno riconosciuto che è politicamente corretto far pagare le imposte anche ai sacerdoti che saranno tutti cassa e chiesa. Per loro è prevista però l’IMU solo sulla prima chiesa, sono escluse chiesette, cappelle e cappelline. Emilio Fede fuori dal Tg4, si sta dedicando ad articoli di fondo cassa.
Per finire, Giova, voglio complimentarmi per la nuova velocità delle comunicazioni. Ho saputo che tra poco saranno recapitate, finalmente, anche le ultime lettere di Jacopo Ortis.
Anna Kanakis la pensava così sui talk show
Ecco quello che significa esattamente il termine talk show. Lo trovate qui
Infine, un singolare, anzi unico, tipo di talk show
Anna Kanakis trova noiosa la gran quantità di talk show
Qui trovate una carrellata dei titoli principali con opinioni e commenti
Infine una curiosità: esistono anche talk show di altro genere.
Già dallo scorso anno, era il marzo del 2012, il degrado dei talk show era evidente. Noi ne parlavamo in questi termini Talk show politici: fermiamo la deriva trash
Qualche tempo dopo avevamo fatto notare che il lunedì era una serata troppo affollata di programmi del genere. Lunedì: in onda troppi talk show
Doveva essere lo spettacolo della parola, il talk show. Una maniera coinvolgente di comunicare attraverso la dialettica e il confronto reciproco per fornire al telespettatore una visione completa delle opinioni di coloro che discutevano. Obiettivo nobile, democratico, proiettato a coinvolgere il pubblico in una visione esaustiva degli argomenti trattati. La parola protagonista assoluta di una forma d’arte televisiva che rispetta tempi e interlocutori. La parola come espressione di una forma mentis, di una filosofia del pensiero che rimanda alla primitiva missione del piccolo schermo: la divulgazione. Poi è iniziata una metamorfosi inarrestabile verso la prevaricazione del genere che oggi ha raggiunto la massima espressione del degrado e della deriva trash.
Fare il conto dei talk show politici che esistono attualmente sul piccolo schermo è impresa lunga e sterile. Con il cambio di casacca di molti conduttori, da un polo televisivo all’altro, si è assistito ad una moltiplicazione informe e inutile di programmi, tra l’altro, pesantemente bocciati dall’Auditel. La Gabbia di Gianluigi Paragone quando si chiamava L’ultima parola e andava in onda su Rai2 raggiungeva e superava il 10% di share. E adesso su La7 non sfiora neppure il 4%. Analogamente, nel settore dei talk sulla cronaca nera, Salvo Sottile abbandonando Mediaset ha tentato, sempre su La7, la riproposizione di Quarto grado. Ma l’unica variante è il nome del programma trasformato in Linea gialla. Risultato: audience ai minimi storici, un doppione di cui non si sentiva il bisogno, clamoroso ridimensionamento per il conduttore.
Ma il degrado più avvilente coinvolge i talk show politici nei quali la “pornografia” della parola ha raggiunto livelli insostenibili. Politici che si parlano addosso, urlano, si insultano, arrivano ad alzarsi e ad abbandonare le proprie postazioni sono spettacolo quotidiano. I signori del Palazzo vomitano insulti in maniera esagitata, tra lo stupore degli stessi conduttori che spesso non riescono o non vogliono fermarli, complice la cinica soddisfazione di intravedere un incremento dell’audience. Personaggi che hanno come obiettivo prioritario soltanto la visibilità, il trionfo del proprio ego, incuranti di ogni buona regola di convivenza civile dinanzi ai microfoni, rappresentano oggi l’elemento più inquietante del piccolo schermo. I nuovi mostri.
Un trend che rispecchia, sotto certi aspetti, la degenerazione della società attuale all’insegna dell’ homo homini lupus. Manca la disposizione al dialogo, ad ascoltare l’interlocutore. Rivisitata e corretta in “non dire agli altri quello che non vorresti fosse detto a te” l’antica norma evangelica è seppellita sotto le macerie di una “mala-educazione generale” che spinge sempre allo scontro frontale in una ripetizione monotona di parole e frasi imparate a memoria da un copione preparato per l’occasione. E il palcoscenico, sul quale si agitano maldestramente, è sempre più simile ad un teatro degli orrori non solo linguistici.