Dunque esiste l’eventualità che Gramigna diventi una serie tv?
‘Gramigna’ è stato un progetto molto importante e ci sono buone possibilità che si realizzi una serie. Da parte mia ne sarei estremamente orgoglioso perché si potrebbero approfondire altri argomenti che in 95′, la durata della pellicola, non era possibile sviluppare. E anche questo lavoro potrebbe essere senz’altro portatore di messaggi positivi.
Quale contributo crede di aver dato lei a questo personaggio?
Con Luigi c’è stato un lavoro abbastanza “strano”. Nel percorso iniziale pre-riprese non avevo condiviso tanto con lui né mi ero interfacciato su alcuni aspetti per cui mi ero creato una mia idea sul suo percorso e, strada facendo, ci siamo resi conto di come corrispondesse a quella che era la realtà dei fatti. Spero di aver reso al meglio un personaggio che ha sofferto per i primi anni dell’esistenza, poi è subentrata la consapevolezza e la voglia di riscatto e di uscire fuori da una condizione che non necessariamente doveva appartenergli.
Questo è stato il suo primo ruolo da protagonista, quali sono le sue aspettative future?
Indubbiamente essere impegnato come protagonista investe l’attore di maggiori responsabilità. Nel film è tutto basato sulla storia di questo ragazzo ed è un po’ lo stesso meccanismo vissuto con il lungometraggio di debutto, ‘Certi bambini’ dei fratelli Frazzi. Al contempo credo che nel mio lavoro si possano affrontare tantissimi ruoli, anche non primari, e lasciare ugualmente il segno. Mi auguro soltanto che ci siano belle storie da raccontare e di poterlo fare nel migliore dei modi.
Per quanto riguarda la tv, lei ha debuttato con ‘Un posto al sole’ e successivamente ha preso parte alla seconda stagione di ‘Gomorra’ (era o’ zingariello). A suo parere come è cambiata la serialità?
Adesso le serie hanno assunto un ruolo molto importante, grazie anche al filone creato dall’emancipazione americana ed è un bene perché si guarda ad esse in maniera ancora più professionale. Con ciò non voglio dire che un tale approccio non esista anche nella fiction. Io faccio sempre una grande distinzione col cinema, non voglio affermare che siano due cose completamente diverse, ma quasi.
Lei è napoletano. Quali aspetti non sono stati ancora colti di questa città?
Io vivo Napoli e ci vivo, ne sono innamorato follemente, non lo affermo da napoletano perché, credo, che lo sarei a prescindere. La realtà la conosciamo, adesso è in corso un’opera di valorizzazione del capoluogo campano grazie a diversi progetti. In questo momento sono più che ottimista, si sta un po’ bilanciando il negativo col positivo. Napoli è una città dove c’è sia il bene che il male all’ennesima potenza.
Gianluca, è stato canalizzato in un determinato filone, quant’è stato difficile sdoganare quell’immaginario?
È un discorso complesso che riguarda soprattutto gli addetti ai lavori e i casting. Se sei attore per le produzioni del Nord e del resto d’Italia puoi fare soltanto il camorrista e questa è una visione limitata. Il problema è che quando viene constatato il successo di uno specifico progetto, perché ha riscontro di pubblico, si pensa che l’attore sia tagliato solo per quel tipo di personaggio. Con tanta fatica e lavoro sto cercando di mutare tale visione e, in quest’ottica, ho operato delle rinunce che non mi sarei mai aspettato di dover fare nel mio percorso. Ma, per non essere etichettato esclusivamente con un tipo di personaggio, bisogna fare delle scelte per quanto non sia semplice in un mestiere precario. Ho dei doveri essendo padre, non è facile rifiutare specifici ruoli.
Lei è nato in una famiglia d’arte (gli zii sono Massimiliano e Gianfranco Gallo, il nonno era il celebre Nunzio Gallo, nda), come ha compreso che la recitazione fosse davvero la sua strada?
Ho cominciato a undici anni col teatro, in un musical e con un piccolo ruolo. Ero contento di parteciparvi, ma vista l’età per me era un gioco, mi divertiva, era un’esperienza nuova, qualcosa che avevo sempre visto fare agli altri della famiglia. Subito dopo è arrivato ‘Certi bambini’ proprio perché mi avevano visto in scena; i miei zii che facevano teatro da una vita e non erano ancora riusciti ad effettuare il passaggio al cinema e in televisione. Quando è arrivato un ruolo da protagonista, ho iniziato a comprendere come funzionasse questo mestiere e ad innamorarmene. Non ho mai avuto il sogno di diventare attore perché non ne ho avuto il tempo. Ma lavorando ho scoperto la bellezza di questa professione, affrontandola con una grande preparazione, ma senza mai prendermi sul serio.
È da un po’ che non fa teatro…
Vi ritornerò in questa stagione con lo spettacolo ‘È tutta una farsa’, partendo dall’Augusteo di Napoli. Lo realizzo con Gianfranco e Massimiliano, torniamo insieme perché c’è il tentativo di far continuare le famiglie d’arte che sono sempre più rare. Si comincia verso dicembre. Il teatro per me è una valvola di sfogo dove c’è più libertà.
Quali sono i prossimi progetti che può anticiparci
Ho finito di girare poco fa a Lecce ‘Il cobra non è’ di Mauro Russo, un regista molto giovane e in gamba; è stata una bellissima esperienza, quando si gira con persone giovani (nel cast sono presenti Nicola Nocella, Federico Rosati, Denise Capezza, nda) c’è un clima ancora più sereno.
A breve comincerò un lavoro per il piccolo schermo che non va molto lontano da ciò che si è visto fino ad ora e ho realizzato una serie svedese (‘Vår tid är nu’) che dovrebbe arrivare su Netflix. Nel cast siamo solo due italiani, io e Simone Coppo, interpretiamo due ragazzi che vanno a lavorare in un ristorante svedese nel 1950.
Questa esperienza mi ha fatto conoscere un modo di lavorare del tutto diverso, con tante donne sia nei ruoli artistici che nel comparto tecnico. Inoltre usano troupe più leggere ottenendo ottimi risultati.
Infine sono nell’ultimo lavoro di Martone, attualmente in post-produzione (il titolo attuale è ‘Capri revolution’).