{module Pubblicità dentro articolo}
Dario, quanto tempo dedica ai libri?
“Molto, sia per piacere che per lavoro. In questo secondo caso, non posso ignorare quelli che scrivono di musica, e sono molti, specie nella saggistica. E però attualmente mi sta coinvolgendo professionalmente ed emotivamente Il resto è rumore di Alex Ross, critico musicale del New Yorker. Un tomo di quattrocento pagine firmato da quello che io considero un dio assoluto nel campo per ampiezza di vedute, per il talento straordinario. Il pregio di questo libro? E’ un saggio scritto con godibile leggerezza”.
La narrativa la frequenta di meno, mi par di capire.
“Sulla mia scrivania prevale senza dubbio la saggistica. Ma mi appassionano certi autori. Su tutti, Alberto Moravia. Bompiani, il suo editore di sempre, ha recentemente pubblicato una raccolta di lettere dal ’28 al ’41, per lo più inedite, scritte appunto a Valentino Bompiani, alle sorelle, ad amici. Tra l’altro spiega perché, negli anni Trenta, non sposò una donna inglese che pure lo aveva coinvolto molto. Del resto, egli ebbe molti amori, ma la fede al dito se la fece mettere soltanto da Elsa Morante in gioventù e a 79 anni da Carmen Llera. Un personaggio particolarissimo, che ho conosciuto personalmente: anzi, ho conosciuto soprattutto il Moravia mondano”.
Ci racconti.
“Lo vedevo alle feste. Nonostante fosse claudicante per la Tbc ossea che lo aveva a lungo confinato in un sanatorio a Cortina e costretto a studi irregolari, egli amava ballare. Certo, anche durante i party non nascondeva il suo caratteraccio e l’atteggiamento maschilista nei confronti delle donne. Il cliché era questo: la notte gli piaceva girare, qualcuno gli proponeva una festa, lui riluttante accettava, arrivava, ballava, corteggiava qualcuna, poi assumeva l’aria scocciata, dando a vedere di annoiarsi a morte. Beh, questo personaggio che, nonostante la fama, non rimaneva abbottonato, si faceva comunque coinvolgere in un ambiente di gente molto più giovane di lui, ebbene, mi divertiva moltissimo. Del resto il suo matrimonio con la spagnola Llera, 45 anni più giovane di lui, fu assai chiacchierato. Ma dal mio angolo visuale rientrava perfettamente nel Moravia che avevo frequentato”.
Scommetto però che tra la narrativa da lei amata non possono non esserci gli autori della Beat Generation.
“Esatto. Con una premessa, però. Anche da adolescente mi aveva affascinato la letteratura americana. Jack London, Melville, ai quali affiancavo però il francese Jules Verne. E non chiamatela letteratura per ragazzi, i loro sono romanzi che squarciano temi esistenziali comuni a tutta l’umanità. Poi, certo, ho letto e riletto Ginsberg, Kerouac, purtroppo scomparsi presto. E fui tra la folla del Festival dei Poeti di Castel Porziano, dove conobbi Gregory Corso e Lawrence Ferlinghetti. Del resto, se sul versante musicale la mia guida è stato Arbore, in quello letterario e culturale in senso lato la mia maestra è stata Fernanda Pivano”.
Che cosa le ha insegnato?
“Il senso dell’internazionalità, lei che era traduttrice degli scrittori del Nord America e che, di famiglia abbiente, aveva sempre viaggiato. Ma, soprattutto, da lei ho imparato a costituire un archivio. Adesso che anche io ho l’età per dare indicazioni a qualcuno, dico che l’archivio personale è fondamentale. La Rete non lo sostituisce affatto, al massimo può essere utile a un’informazione rapida e per sommi capi. Altrimenti, ovvero se bisogna approfondire un argomento, Internet è fallace”.
Da questo archivio desumo derivino anche i tanti libri che ha scritto.
“Sì, e sono di diverso tenore. Ma negli ultimi anni ho creato nel campo musicale quello che hanno fatto in quello cinematografico Molendini e Mereghetti. Così ogni anno esce “il Salvatori”, ovvero il catalogo di tutte le canzoni, a partire dalle villanelle medievali per arrivare ad oggi. Alle edizioni 2014 e 2915 ho appena unito la 2016: in totale ho preso in considerazione 15 mila titoli, mille in più ogni anno. E di ciascuno fornisco giudizio critico, storia, pettegolezzi, retroscena, plagi, eccetera”.
Alberto Moravia
Come giudica il mondo dell’editoria?
“Ho pubblicato sia con grandi Case, come Mondadori e Rizzoli, sia con medie, sia con piccole. Problemi e successi si possono trovare in ciascuna di esse. Questo è un mondo nel quale contano le idee, i best sellers sono casuali, non è più il tempo di Linder, il re degli agenti letterari. Certo, molti dei successi sono robaccia. E non è vero che il best seller lo fa solo in titolo, o che il titolo lo veste di vera nobiltà. Per esempio, “Io speriamo che me la cavo” ha un titolo furbo, creato a tavolino dall’editor, ma dietro c’è un’idea. “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire” ha egualmente un titolo acchiappa-lettore, ma dentro non c’è niente”.
E il Sanremo 2016, il Festivalone che lei segue da sempre e per il quale quest’anno ha selezionato i motivi ammessi, com’è stato, furbo e anche di buoni contenuti?
“Non si può obiettare nulla, visti gli ascolti. La canzone che ha vinto, quella degli Stadio, è trasparente, non dà adito a brogli. Una buona notizia, per me, è che i talent sono rimasti in posizione di retroguardia. Ho notato un’omologazione nei testi, la maggior parte tristi e melodici. Del resto anche Rocco Hunt è personaggio ormai visto e rivisto. Fortemente ridimensionata Noemi e non per il fatto che ha steccato, ma perché è stata calante per tutto il tempo della sua esibizione, come è successo a Morgan. E lasciando da parte Patty Pravo, che ha cantato come può ora e che comunque una gran voce non l’ha mai avuta, ma possiede molto altro. Se poi mi chiede chi avrei preferito che vincesse, rispondo Enrico Ruggeri. La linea di archi nel suo pezzo rock è cosa positivamente eccentrica”.
E ora torniamo al Dario Salvatori e i libri. Quando legge?
“Dipende. Se devo recensire, mi isolo davanti al testo in qualsiasi ora del giorno. Invece i libri che affronto per piacere li sistemo sul comodino. Di notte, anche tarda, leggo molto, accalorandomi quando non condivido ciò che è sulla pagina e incuriosendomi a scardinare il meccanismo di un best seller, a capirne la tecnica, che è poi anche quella di catturare il lettore nelle prime 150 righe. Leggere è un modo meraviglioso per chiudere la giornata. Certo, non è un granché per due partner. Quando uno dei due dice: che fai, leggi? significa che la passione è finita…”.