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Vanessa, nel progetto di “Lea”, il film tv sulla testimone di giustizia calabrese che ebbe il coraggio di denunciare il marito e che, dopo anni di esilio con la figlia, venne eliminata dal coniuge e dalla sua banda, c’è anche l’impegno di Libera, l’associazione di don Ciotti, di proiettare il film nelle scuole, per diffonderne il messaggio di contrasto civile alle mafie.
“Sì, Giordana nei giorni scorsi ha presentato il film in una scuola toscana, in altri istituti è stato accompagnato da Alessio Praticò, che impersona il marito assassino di Lea, Carlo Cosco. Io ho detto a don Ciotti che sono pronta a parlare dell’argomento ovunque egli voglia. Il 9 marzo la pellicola verrà proiettata allo Spazio Oberdan di Milano. Ancora a Milano, la città che vide l’esecuzione di Lea Garofalo, l’opera di Giordana sarà in programma a maggio nell’ambito del Festival dei Diritti Umani. Non mancherò agli appuntamenti”.
Dopo tv e teatro, lei si sa godendo una pausa utile a esaminare altre proposte di lavoro.
“Ci sono alcuni progetti, ma preferisco per ora tenerli top secret”.
E in questi momenti lascia spazio a quello che considera, ha detto spesso, il passatempo preferito, la lettura.
“Già, anche se lo accumuno alla passione per la bicicletta. Che posso mettere in pratica però soltanto quando sono a Mesagne, la mia città natale, perché Roma, dove vivo, col suo caos non è un posto per le due ruote”-
Ma come è diventata come si dice “lettrice forte”?
“Ho cominciato da bambina. Ero alle elementari, ricordo che passavano a scuola rappresentati di commercio per la vendita di libri. Non li acquistava nessuno, io invece chiedevo a mia madre che me li comprasse. E quando li avevo tra le mani mi affascinava subito l’odore di quei volumi. Conservo ancora quella memoria olfattiva”.
Qual è il primo libro che lesse?
“Le poesie di Totò. Le leggevo e poi le recitavo. Avevo dodici anni, percepivo il dialetto napoletano di quei versi come lingua perfetta per la recitazione. Poi vennero per me altri autori di culto: Gabriel Garcia Marquez, con il suo mondo fantastico e misterioso, eppure facile da leggere per un’adolescente, molto più della trilogia di Calvino”.
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E dopo?
“Dopo i grandi classici russi, primo tra tutti Dostojevski, che resta il mio autore preferito. Ancora, Sartre, e, tra gli italiani, Fenoglio e Pavese. Insieme, ovviamente, ai testi teatrali, che sono stati il pane per il mio lavoro. L’ultimo che ho tenuto sul comodino e che ho portato in teatro, l’Antigone di Sofocle”.
E mentre Vanessa Scaleva leggeva e cresceva, nasceva l’attrice. Come?
“Parlare su un palco è stato un sogno accarezzato fin da bambina. A 19 anni ho lasciato Mesagne per Roma. Nella Capitale ho frequentato un corso di recitazione a La Scaletta. Sa, la mia è una famiglia semplice, genitori infermieri, poca conoscenza dei meccanismi di formazione di un’aspirante attrice…”
Però quello che ha imparato alla Scaletta ed evidentemente il suo talento naturale sono bastati se poi, a 22 anni, è andata in tournée con Johnny Dorelli…
“Memorabile esperienza con un signore della vita e della scena. Rappresentammo in tutta Italia una commedia, L’amico di tutti, che aveva trionfato a Broadway. Io interpretavo una ragazza spigliata, vivace. Insomma, un ruolo perfetto per la Vanessa Scalera di quegli anni”.
Invece poi ha affrontato il più delle volte ruoli drammatici.
“Già, ma amerei anche tornare ai leggeri. Commedie, non musical, perché non so cantare e perché è un genere che non mi piace. Ma soprattutto sogno di interpretare personaggi maschili: vorrei vestire i panni di Enrico IV di Pirandello o dello shakespeariano Amleto”.
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Torniamo alla lettura. Quando?
“Di notte, e sto sveglia magari fino alle quattro. Talvolta mi riprometto, di giorno: ora leggo. Però le ore del silenzio notturno sono quelle che mi ammaliano di più per affrontare un libro”.
E dove tiene i libri?
“In casa ho due librerie. Una in camera da letto, ed occupa un’intera parete. L’altra, più piccola, nello studio”.
Ha letto Eco, il gigante da poco scomparso?
“Sì, ma non lo amo moltissimo. I suoi romanzi non hanno la capacità di colpirmi, di coinvolgermi. Forse si percepisce troppo la formazione intellettuale dell’autore, che egli inevitabilmente trasmette ai suoi personaggi”.
Mi pare che non si dedichi molto ai romanzieri contemporanei.
“E’ vero. Quando devo scegliere un titolo, finisco per orientarmi verso i grandi classici. Forse perché amo immedesimarmi nei personaggi simbolo della letteratura mondiale, le Bovary, le Karenine…Chi non vorrebbe interpretarle? Invece riguardo agli autori contemporanei mi dico: ho talmente tanto da leggere e tanta voglia di farlo che troverò il tempo anche per loro”.
E’ appena tornata dal Festival International du Film d’amour di Mons, dove è stata in giuria insieme tra gli altri a Daniele Luchetti. Che effetto fa stare dall’altra parte della barricata?
“Strano, nel senso che è tutto più semplice di quanto si immagini. Se sei un giudicato, pensi che i giurati siano dei mostri di cattiveria. In realtà sono persone amabili e normali, alle quali l’occasione permette di discutere, di mettere in evidenza i loro gusti personali e di confrontarli con gli altri componenti della giuria. Però una cosa mi preme dire: preferisco essere valutata che valutare”.
In bocca al lupo, Vanessa Scalera, tanti di questi concorsi e di questi libri.