{module Pubblicità dentro articolo}
E Iva si diverte moltissimo, lei che di verve ne ha a iosa e di delusioni invece non ne ha avute poi troppe rispetto al successo ottenuto. Una vita di record e di affermazioni, la sua: dalla vittoria, unica donna, a tre festival di Sanremo al concerto al Madison Square Garden, prima italiana a calcare quel palco; dall’exploit in televisione come conduttrice di lungo corso (chi non ricorda “Ok, il prezzo è giusto” su Canale 5) all’esperienza politica come parlamentare europea prima con Forza Italia, in seguito con il Popolo delle Libertà.
Iva Zanicchi con Corinne Clery e Barbara Bouchet a teatro
Signora Zanicchi, in tanto lunga e articolata carriera la lettura trova posto?
“Certo. Le dirò di più: è il mio passatempo preferito. Però ora un po’ meno, perché la vista non mi aiuta. E non mi dica di ricorrere agli audiolibri. Non sono la stessa cosa rispetto a un volume da sfogliare, da usare e usurare, magari tornando indietro di qualche pagina per fissare meglio un concetto, un passaggio della trama”.
Quando è diventata lettrice forte?
“Da bambina. Con tutte le difficoltà che in questo campo mi ha imposto la mia impareggiabile infanzia. Ligonchio, il paesino di montagna dove sono nata, non aveva mica librerie o biblioteche. Mi accontentavo dei libri che avevamo in casa. Pochi. Sicché li ripassavo infinite volte. Quello sugli animali lo conoscevo a memoria. Idem Il Vangelo. E poi le gesta dei Crociati nella Gerusalemme Liberata. A Ligonchio la mandavano a memoria e poi la recitavano in piazza. E nel bagaglio di questa cultura orale c’era anche l’Inferno di Dante. Un amico di mio padre non ne tralasciava una parola. Lo declamava, tutto a mente”.
Ma avrà anche scoperto la narrativa.
“Girando di casa in casa. Una mia amica mi prestò Via col vento. Avevo nove anni, lo lessi tutto d’un fiato. Una vecchietta mi dava i romanzi di Liala e di Carolina Invernizio. Che effetto mi fece Il bacio di una morta…Poi ho scoperto la letteratura americana e me ne sono innamorata: Hemingway, Steinbeck. E Pirandello. E D’Annunzio, il grande D’Annunzio negli anni Sessanta oscurato perché tacciato di essere fascista. Che stupidaggine quando l’ideologia politica affibbia etichette e se non sei della parte dominante su di te cala il sipario”.
Sul palcoscenico di Sanremo nel 1969
Veniamo a tempi più recenti.
“Ho amato Umberto Eco de Il nome della rosa, ma non ho finito di leggere Il pendolo di Focault. Mi intrigano Camilleri, Ken Follett, Faletti”.
Lei ha dedicato una canzone a Ungaretti.
“Sì, e l’ho conosciuto bene, frequentandolo un’intera settimana a Salsomaggiore Terme, in occasione del premio per la regia televisiva. Un poeta bambino lo definirei, tanto mi parve candido. Era il 1970, qualche mese dopo morì”.
Nella swinging Milano degli anni Settanta c’era l’occasione di altri incontri.
“Era l’ombelico del mondo. Buzzati lo conobbi in un salotto bene, quando frequentava la libreria-galleria Cortina, dove poi espose molte sue opere. Era un affascinante affabulatore. E ricordo le serate con Mario Luzi, con De Chirico, con Carlo Bo, al quale mi legò una cordiale amicizia durata anni”.
Dove ha sistemato le sua libreria l’Aquila di Ligonchio?
“Non esiste una mia dimora senza libri. Mi sembrerebbe spoglia. C’è una libreria nella casa di montagna e due in quella di città, una ufficiale e un’altra più intima”.
Intima? Si spieghi.
“E’ nel salottino attiguo alla mia camera da letto. Ci sono i volumi ai quali sono più attaccata. Un certo periodo non facevo che leggere le biografie di regine e donne famose, dalla Callas a Caterina di Russia”.
Ma ci sono anche i libri firmati da Iva Zanicchi. Il primo, Polenta di castagne, è stato un successo.
“Mi ha dato tanta soddisfazione. Ha avuto critiche positive, come quella di Aldo Grasso, mi ha fatto vincere il Premio Alghero Donna, ha venduto 120 mila copie. Un libro autobiografico: narra delle donne della mia famiglia, povera ma orgogliosa come poteva esserlo un nucleo dell’Appennino tosco-emiliano negli anni Cinquanta. I miei nonni erano immigrati, la vita era stenti e fame, combattuta appunto con la farina delle castagne locali. All’improvviso, nel decennio successivo, la svolta: partecipai a Castrocaro, agguantai il successo”.
Ha scritto anche altro.
“Con il secondo libro, I prati di Sara, ho voluto tentare il romanzo. Beh, ho peccato di presunzione, e allora i critici mi hanno castigato per aver osato troppo. Ora sono tornata all’autobiografia per il terzo mio titolo, in praparazione: l’infanzia, la guerra, l’avvio come cantante, l’affermazione. Fino all’avventura in politica”.
Lei ha una figlia. Che cosa le ha fatto leggere da bambina e che cosa vorrebbe che leggessero anche oggi i piccoli?
“Pinocchio. E’ bellissimo, una storia di formazione piena di poesia e schiettezza. Ma non mi stancherei di ripetere ai ragazzi: prendete in mano un libro il più possibile. E lasciate un po’ da parte cellulari e internet. E dopo aver letto, tornate a scrivere lettere”.