Ravenna custodisce ben otto dei cinquantatré siti italiani dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Sarà la prima meraviglia di questa seconda puntata – da conoscere in compagnia del pilota Marco Melandri – della quale potremo approfondire la conoscenza del Museo di Galla Placidia, per poi sportarci al Sepolcro di Teodorico e alla tomba di Dante, con le loro ricchezze e storie affascinanti.
Poi sarà la volta della Sardegna, un’isola associata per lo più ai paesaggi mozzafiato che però custodisce anche testimonianze archeologiche straordinarie. Alberto Angela ci porterà tra le Domus de janas – tombe antichissime di epoca prenuragica – e nel complesso nuragico Su Nuraxi di Barumini, in compagnia di Dori Ghezzi (che in Sardegna visse un periodo molto intenso insieme a Fabrizio De Andrè, compreso un sequestro) e allietato dalla magnifica tromba di Paolo Fresu.
L’ultima tappa sarà dedicata alla scoperta del Teatro San Carlo di Napoli in compagnia di Massimo Ranieri. Costruito nel 1737 dai Borbone, il San Carlo non ha mai saltato una stagione teatrale e vive di un fascino inafferrabile in grado di farlo adorare dai più grandi artisti che ha ospitato.
Seguiamo insieme la diretta della seconda puntata.
L’introduzione di Alberto Angela indugia sulle caratteristiche uniche del nostro patrimonio artistico e sulla necessità di salvaguardarlo nonostante le difficoltà. Per l’Italia, più che per altri Paesi, rappresenta un elemento identitario imrpescindibile.
Galla Placidia era molto credente e capì che la fede cristiana poteva essere un collante in grado di tenere unito l’Impero vicino al disfacimento.
Il Mausoleo di Galla Placidia è un Sepolcro, ma fu concepito come un monumento ricco di simbologie, proprio per rafforzare l’identità dell’Impero legata alla fede. Gli splendidi mosaici sono conservati molto bene e l’oro con cui sono intarsiati ancora brillano in maniera evidente, protetti da un doppio strato di vetro. Tra i più preziosi, c’è il grosso mosaico sul portone d’ingresso, considerato una testimonianze dei primi influssi bizantini nell’arte.
Non si sa chi lavorò alla realizzazione, come non si hanno troppi dettagli sulla personalità di Galla Placidia.
Un altro Mausoleo di straordinaria importanza è quello di Teodorico, risalente al V – VI sec. Monumento unico, innanzitutto per motivi architettonici: costruito con blocchi di pietra d’Istria posati a secco, ha una cupola dal diametro di 10 metri che è un blocco unico di pietra, da centinaia di tonnellate.
Si può cnsiderare a tutti gli effetti una struttura antisismica per l’epoca, ma oltre a ciò è peculiare perché alla base della cupola c’è una decorazine detta “a tenaglia”, tipica dell’oreficeria barbara. Non si conoscono altri esempi del genere al mondo.
L’interno è molto spoglio, dominato da una grande vasca in porfido – la pietra degli Imperatori – che pur essendo stato il sarcofago di Teodorico, ricorda da vicino le vasche tipiche delle terme. Il sarcofago pare abbia cambiato più volte collocazione nella città, ma la sua posizione attuale è quella originaria.
Attorno alle vicende di Teodorico circolano molte leggende, soprattutto sulla sua morte.
È il pilota di moto Marco Melandri a spiegarci l’importanza del Mausoleo di Teodorico per lui e per i ravennati.
Poi, è la volta di spostarsi nella meravigliosa Basilica di San Vitale, una splendida testimonianza architettonica e artistica in cui sono ancora più evidenti le influenze bizantine e, in generale, orientali. Ma c’è da dire che la Basilica è stata rivista più volte nei secoli, fino al Novecento, per cui mescola stili e livelli architettonici diversi.
La Basilica di San Vitale contiene alcuni dei mosaici più belli e preziosi del mondo. Uno è quello che raffigura Gesù Cristo – giovane e senza barba – che porge la corona del martirio a San Vitale.
Gli altri due – tra i mosaici più famosi della crisitanità – rappresentano l’Imperatore Giustiniano da una parte e sua moglie, l’Imperatrice Teodora, dall’altra. Colpiscono i dettagli realizzativi, ma anche quelli espressivi, con una cura maniacale nella rappresentazione dei diversi rapporti di potere tra i soggetti raffigurati e in quella delle personalità di Giustiniano e Teodora. Quest’ultima pare fosse una donna particolarmente forte e poco convenzionale per estro, abitudini e condotta.
Altra bellezza di Ravenna è la tomba di Dante, una tomba curiosa non solo per come è stata realizzata, ma per la sua storia. Per lungo tempo fu vuota, le ossa erano state spostate in un lugo segreto per evitare che i Fiorentini potessero trafugarle.
Ci furono molte spedizioni fiorentine – soprattutto dal ‘500 – per cercare di recuperare i resti del poeta, rivendicati come patrimonio indiscusso della città toscana. Una disputa durata secoli e rinnovata nel 1865, quando le ossa furono ritrovate proprio durante i lavori per il seicentesimo anniversario dalla nascita di Dante. Vennero però riportate definitivamente nella sua tomba.
Prima di continuare, Meraviglie – La penisola dei tesori dedica alcuni passaggi a Paestum e alle splendide geometrie della Certosa di Pavia.
Ora Alberto Angela ci porta all’interno del Teatro di San Carlo di Napoli, il teatro d’opera più antico d’Europa, patrimonio dell’umanità. Si trova in pieno centro storico della città partenopea ed è l’unico ad essere rimasto sempre in attività.
Fu voluto dai Borbone nel 1737 come simbolo della loro magnificenza. Oltre ad essere grande e fastoso, era anche un teatro particolarmente resistente nella sua struttura lignea. Il San Carlo che vediamo oggi è stato rivisitato nell’800, ma è ugualemente molto fedele all’originale, che divenne il simbolo del fermento culturale promosso dai Borbone.
In poco tempo era diventato un centro imprescindibile per la lirica e l’opera europea, in grado di proseguire le attività anche nei momento bellicosi. Almeno fino al 13 febbraio 1816, quando un incendio lo distrusse in poche ore. I Borbone vollero ricostruirlo al più presto, nella maniera più fedele possibile all’originale, affidandosi all’architetto Niccolini.
In appena dieci mesi, il teatro più grande e maestoso d’Europa era di nuovo operativo, con un’acustica e una visibilità del palco particolarmente ricercate.
Massimo Ranieri, cantante ma anche attore teatrale, racconta come conobbe il San Carlo e la prima volta che vi entrò.
Negli ultimi anni è salito sul palco del San Carlo sia come cantante pop, sia come regista e attore teatrale.
I palchi in cui sedevano gli spettatori più illustri sono pieni di specchi, sia per amplificare la luce delle candele, sia per permettere alle donne di truccarsi e controllare il proprio aspetto, sia per capire quando applaudire. Nessuno, infatti, poteva applaudire prima che lo facesse il Re.
L’antico sipario è una vera opera d’arte risalente al 1854, nata dal talento di Giuseppe Mancinelli, e rappresenta il Parnaso.
Mentre il velario che ricopre la sommità del teatro è stato realizzato da Giuseppe Cammarano, è grande centinaia di metri quadrati e raffigura Apollo che presenta ad Atena i poeti, a partire da Omero, Virgilio e Dante.
Tra gli aneddoti più conosciuti tra quelli legati al teatro napoletano, ci sono quelli che vedono protagonista Domenico Barbaja, anima musicale e amministrativa del San Carlo. Nato a Milano, era un personaggio fuori dal comune, molto attivo in svariati campi, tanto che inventò persino la barbajada, una bevanda a base di caffè cioccolato e panna.
Gestiva anche il gioco d’azzardo legato al San Carlo (che all’epoca era legale) e da impresario portò a Napoli Gioachino Rossini.
Fu grazie a Barbaja che il talento di Rossini poté palesarsi al massimo delle sue potenzialità. Nel 1822, poi, Rossini andò via da Napoli con la moglie di Barbaja come amante, senza che ciò, però, rovinasse il loro rapporto.
Dopo Rossini, Barbaja portò a Napoli anche il grande Gaetano Donizetti. Fu anche grazie a personalità come Barbaja che l’Italia divenne il paese di riferimento per l’Opera mondiale e quello con il numero più alto di teatri dell’Opera.
Per l’ultima tappa di questa sera, Alberto Angela si trasferisce in Sardegna, tra i resti antichissimi del nuraghe di Barumini.
Oltre al nuraghe, il complesso Su Nuraxi comprende il villaggio che doveva essere abitato da circa 700 persone, sistemate in circa 200 capanne di dimensioni per lo più ridotte, visto che la maggior parte delle attività si svolgevano all’aperto.
Non c’è una risposta universale su cosa servissero i nuraghi, che possono essere considerati una sorta di grattacieli antichissimi. In Sardegna ce ne sono circa 7mila e risalgono quasi tutti all’Età del Bronzo. Il Nuraghe di Barumini è il più antico castello di tutto il mondo Occidentale.
Oltre che per la sua importanza storica, il nuraghe di Barumini è stato proclamato patrimonio dell’umanità anche per la tecnica costruittiva utilizzata per realizzarlo. Nonostane le dimensioni enormi e le centinaia di tonnellate di pietra utilizzata, il nuraghe non ha fondamenta, è poggiato direttamente sul terreno. Tuttavia, continua a resistere con una certa stabilità, grazie ad un mirabile gioco di incastri.
Il periodo realizzativo è il 1400 a.C. circa, mentre nel 1200 a.C. la struttura subì un aggiornamento architettonico per migliorare le capacità difensive e arrivò all’altezza di 20 metri. Gli arcieri erano disposti su tre livelli e riuscivano controllare il territorio circostante sistemandosi in tre per ogni torre.
L’ambiente più importante del nuraghe si trova di fianco alla torre principale ed è un cortile. Al centro del piccolo spiazzo c’è un pozzo, di importanza cruciale. La costruzione dei nuraghi, infatti, cominciava sempre verso il basso – in questo caso fino a 18 metri di profondità – perché l’acqua aveva un ruolo strategico e simbolico imprescindibile per le comunità dell’epoca: l’acqua sorgiva doveva passare attraverso la madre terra, per purificarsi e legarsi al culto della Dea Madre.
Mentre Paolo Fresu sottolinea l’atmosfera del complesso al suono della tromba, Dori Ghezzi racconta la folgorazione sua e del marito Fabrizio De Andrè per la Sardegna, legata a luoghi come questo.
Adesso Meraviglie ci porta a conoscere i Giganti di Mont’e Prama, delle grosse statue in pietra, risalenti verosimilmente a circa 2700 anni fa. Siamo nell’ultima fase dell’epoca nuragica e sono le statue più antiche di tutto il bacino mediterraneo occidentale. Ma non si sa bene cosa rappresentino e da chi furono fatte costruire. Quel che è certo è che il luogo in cui sono state ritrovate in più di 5mila frammenti era un luogo adibito a sepoltura o culto.
I giganti sono, comunque, degli arcieri particolarmente vigorosi e ciò aumenta il carattere simbolico della loro realizzazione, ma ancora oggi ne sfugge il vero significato.
Altri reperti magnifici del posto sono sia i bronzetti e, soprattutto, le antiche, piccole sculture in pietra risalenti a circa 6mila anni fa, incredibili, pur nella loro semplicità, per armonia e bellezza delle forme.
Una vera e propria chicca è rappresentata da una collana punica (IV – III sec. a. C.) ritrovata nei pressi di Obia e realizzata con una serie di pendenti dai colori estremamente vivaci. Proprio i colori, insieme ai dettagli realizzativi, ne fanno un ornamento che oltre ad essere affascinante, è pure apparentemente moderno.
La puntata si chiude con la visita alle Domus de Janas, un complesso di tombe sotterranee, scavate nella roccia, scoperte a Bonorva (Sassari). Ne sono state trovare a migliaia in tutta la Sardegna e risalgono per lo più all’epoca prenuargica. La loro particolarità, oltre alla costruzione complessa e suggestiva, risiede nei meravigliosi affreschi che si trovano all’interno e che hanno ricoperto le pareti molto tempo dopo la loro prima costruzione. Come l’affresco risalente all’epoca di Costantino, intorno al 300 d.C., tra i più importanti del complesso.
Altri affreschi sono di epoca bizantina, con intonaci e raffigurazioni medievali legate alla religione Cristiana. E i soffitti mozzafiato che sembrano richiamare la volta celeste in maniera più o meno fantasiosa.
La seconda puntata di Meraviglie – La penisola dei tesori finisce qui.
Appuntamento a martedì prossimo.