Formatosi a Milano, docente universitario ad Urbino, Bergamo, Padova, ha indagato più ambiti della psicanalisi, anche quello alimentare all’origine di bulimia ed anoressia: ma, amante appassionato dell’arte, specialmente della pittura, ha accettato la proposta di Sky di portare al pubblico un’attenta disamina di sei artisti contemporanei – da Vincent van Gogh a Jackson Pollock, Giorgio Morandi, Alberto Burri, Antonio Tápies, Jannis Kounellis – cercando di far luce sul versante del loro inconscio e sul rapporto di questo con i loro capolavori pittorici.
Cosa, questa, non nuova nell’ambito della critica d’arte – pensiamo ad Antonin Artaud o Gillo Dorfles, solo per fare due esempi – ma certo sempre oggetto di comprensibile curiosità in chi ama l’arte. Diciamo anche che il titolo del format è un poco fuorviante, perché – non essendo specificato che “l’opera” di cui si ricerca l’aspetto inconscio, è “l’opera d’arte”, l’opera figurativa – si era indotti a pensare all’opera lirica, musicale, che si attua nei Teatri d’Opera, quindi ad un’analisi a tutto campo del melodramma, non solo italiano.
Pollock nel suo laboratorio
Comunque, la predetta serie televisiva è stata girata in Palazzo Litta a Milano con una regìa e un allestimento molto semplici, in modo da portare l’interesse del pubblico direttamente sulle opere da esaminare. E nella presentazione al Maxxi di Roma, per la quale era stata scelta la serata dell’incontro di Recalcati con la pittura dell’americano Pollock (1912-56) , sui suoi dipinti relizzati con la tecnica dello sgocciolamento del colore (dripping) su una larga tela stesa a terra, lo psicanalista ha ricordato le proprie impressioni giovanili, di un vetro su cui batte la pioggia.
Questo ci ha permesso di cogliere, anche in uno psicanalista, l’importanza della viva percezione sensoria nella comprensione di un’opera d’arte. Poi Recalcati si è fermato sulla teoria spiritualistica di Croce, per cui l’arte è intuizione della mente, concretizzata nella materialità delle varie opere.
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Al contrario Pollock riteneva che la realizzazione manuale, il lavoro (specie il suo, basato sul fare manuale, incontrollato dalla mente), fosse il primo atto artistico, estraneo all’io, che dunque non ne era responsabile. Recalcati allora ci conduce a quel limite – le Colonne d’Ercole – oltre il quale nell’opera si spalanca l’infinito, e nel fiume inesauribile del dipinto, per cui ogni volta che lo si guarda si scoprono nuove cose, c’è la presenza dell’inconscio, dell’inconoscibile, che spaura. E’ il sacro, che esige religioso rispetto. E Recalcati ci ricorda che Pollock, dinanzi alle sue opere totalmente svincolate dalla riconoscibilità di un percorso logico, di un racconto, di un’immagine figurativa, spesso si è chiesto: “Sono un artista, o sono un cialtrone?”. Ma avvertiva di essere un artista. Ed una volta in cui, negli anni ’50, essendo asceso al sucesso diventando una popolare star della pittura, una rivista americana lo intervistò e fotografò: egli si adirò terribilmente, affermando che “lo avevano fotografato non come artista, ma come cialtrone”.