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Egli ci spiegherà dunque che le due creazioni, la prima in un atto e l’altra in due, l’una del 1890 e l’altra del 1892, la prima inscenata al Costanzi di Roma e l’altra al Teatro Dal Verme di Milano, furono praticamente da subito unite in un’unica rappresentazione scenica, sia per la loro brevità, sia forse per il loro valore di opere-simbolo del Verismo italiano.
Ed al Teatro alla Scala di Milano, nel 1926, fu proprio Pietro Mascagni a dirigerle insieme. Così, nella puntata televisiva predetta, presenzieranno oltre al soprano Amarilli Nizza, alla napoletana Giovanna Casolla nei ruoli di forza, al tenore Fabio Armiliato legato a sua volta ai grandi ruoli lirici ottocenteschi, anche i musicologi Virgilio Bernardoni e Giancarlo Landini, ed infine i discendenti di Pietro Mascagni, Giulia Farinelli Mascagni e Francesca Albertini Mascagni, per il Comitato Pietro Mascagni.
Il compositore livornese di 27 anni, venuto a sapere di un concorso per una nuova opera lirica indetto dall’editore Sonzogno, partecipò in tutta fretta musicando la “Cavalleria rusticana”, su libretto tratto da una novella di Verga, consegnando il lavoro un giorno prima della scadenza, vincendo, e ottenendo fin dall’inizio al Costanzi un travolgente successo, mai venuto meno nel tempo. Per questo forse Elio sfiorerà anche la ben nota diatriba legale fra Mascagni, Sonzogno e Verga per i diritti d’autore, che si concluse con lo smacco dell’editore, il quale tuttavia in uno scontro diverso e successivo, costrinse gli eredi Verga a sborsare migliaia di lire.
Il soggetto di “Cavalleria rusticana”: in una località siciliana, a Pasqua – Mascagni volle per la prima volta un organo in teatro, che tuttora c’è – mentre il popolo è in festa la giovane Santuzza lamenta con la futura suocera che il fidanzato Turiddu ha per amante Lola, sposata con compare Alfio. Affronta poi Turiddu, che irritato la allontana smentendo tutto. A questo punto Santuzza disperata avvicina anche il fiero Alfio, che la ringrazia per avergli svelato la tresca e – in una scena carica di volenza inesplosa – sfida il rivale a duello.
Bellissime arie e duetti punteggiano la breve e sanguigna opera, che termina con le urla femminili dalle quinte, che annunciano la morte di Turiddu, ed un finale orchestrale potentissimo, che Mascagni pare abbia scritto prima dell’intera opera.
“Pagliacci”, del napoletano Ruggero Leoncavallo, anch’egli esponente del movimento musicale verista, è opera che trae ispirazione da un delitto per gelosia, cui il musicista assistette a Montaldo Uffugo (Cosenza), dove risiedeva col padre pretore, il quale fu giudice al processo.
L’opera, certamente breve, fu diretta a Milano da Arturo Toscanini, ancora non molto noto, ma che ne contribuì al successo, tuttora perdurante. Anzi, la registrazione che dell’opera fece Enrico Caruso, giunse a ottenere per la prima volta in Italia il milione di copie.
Ecco il soggetto: in una compagnia di commedianti, Canio e la più giovane moglie Nedda (amante di Silvio), con gli attori Tonio e Beppe inscenano una commedia. Ma presto – nell’evoluzione dei fatti scenici che svelano il tradimento di Colombina (impersonata da Nedda) nei riguardi di Pagliaccio (impersonato da Canio), la commedia si sovrappone alla realtà sfociando in tragedia: e Canio uccide realmente la moglie in scena.
Nel 2010, l’orchestra del Teatro Real de Madrid fu diretta da Jesús López Cobos, e interrpreti ne furono i soprani Violeta Urmana e María Bayo, il tenore palermitano Vincenzo La Scola, Viorica Cortez, il baritono Marco Di Felice e Dragana Jugovic. Una nuova serata davvero emozionante.