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Sicuramente però, una Maria De Filippi se ne sarebbe accorta e non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione di ingaggiarlo. Soprattutto quando l’artista – che aveva già scritto “Edgar” (dato alla Scala nel 1889), “Manon Lescaut” che, in ‘prima’ al Regio di Torino nel 1893, ebbe grande e permanente successo, e la celeberrima partitura de “La Bohème”, che inscenata nel 1896 sempre al Regio di Torino, immortalò Puccini – presentò al Teatro alla Scala di Milano “Madama Butterfly” su libretto dei fidi collaboratori Illica e Giacosa.
Era la storia di una geisha quindicenne innamoratasi dell’ufficiale di marina Pinkerton, che sposò con rito locale, venendo poi da lui lasciata con un bambino: lei lo attese per anni e quando questi tornò – sposato in USA – a riprendersi il figlio, ella si uccise col pugnale paterno.
Ma fu un terribile fiasco. Era il febbraio 1904. L’artista aveva curato ogni dettaglio di quest’opera ‘giapponese’, negli usi e costumi nazionali, nella musica a partire dalla scala per toni interi, fino all’uso delle modalità, ai colori timbrici e a melodie tradizionali nipponiche: eppure fu un fiasco inatteso, irripetuto e che rimase storico, come l’insuccesso successivo de “La Sagra della Primavera” di Strawinsky a Parigi nel 1913.
La cosa sorprese Puccini per primo: la famiglia inorridì lasciando il teatro e l’editore Ricordi – che apprezzava e amava il compositore – scrisse allora: “Grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate…. é l’accoglienza che il pubblico della Scala fa al nuovo lavoro del M°Giacomo Puccini…”.
Cosa avrebbe fatto l’affermato Maestro dinanzi al brutale contegno dei ‘musicofili’ scaligeri, oggi, aggredito forse da una altrettanto brutale TV in cerca di audience? Oggi , quando essa ci mostra lo sciacallaggio contemporaneo di tanti direttori di rubriche e di salotti televisivi dinanzi a fatti di cronaca nera? Puccini avrebbe forse accettato di parlare con chi, come unaMilena Gabanelli o una Federica Sciarelli, si sarebbe mostrato amante della verità, più che degli ascolti in TV.
Lui stesso e Ricordi (e critici e studiosi tuttora) intuirono che la pedestre bagarre era stata organizzata da antipucciniani maldestri; infatti, se il Maestro e Ricordi stesso ritirarono subito la partitura – in cui Puccini aggiunse per Pinkerton l’aria “Addio fiorito asil” nel III atto, modificò l’aria della morte di Bytterfly e niente altro – la nuova messa in scena al Teatro Grande di Brescia (tre mesi dopo) fu un conclamato successo, così come lo fu – e per sempre – la successiva rappresentazione al Regio di Torino, sotto la direzione di Toscanini.
Ma Puccini era anche un patito di caccia – amò tutta la vita la sua Villa di Torre del Lago anche per questo – era un appassionato di automobili – possedeva una Isotta Fraschini, una De Dion Bouton e inventò il primo Suv d’Italia, richiesto alla Lancia per andare fuori strada a caccia (però nel 1903 ebbe un incidente con grave frattura della tibia, che si sanò dopo cure lunghissime).Quanti giornali specializzati si sarebbero occupati di lui, oggi? E qaunti servizi gli avrebbero dedicato La vita in diretta e Pomeriggio 5?
Inoltre era patito delle donne: amò duchesse e soprano, ma sposò nel 1904 la semplice figlia di un droghiere, Elvira Bonturi da cui mai si separò, ma a causa della cui forte gelosia ebbe problemi con la giustizia. Elvira rese infatti la vita impossibile ad una cameriera ventitreenne, Doria Manfredi, che nel 1909 si avvelenò. Anche in questo caso Puccini non si sarebbe salvato dai media televisivi, perchè la cosa si rivelava più pruriginosa delle traversìe musicali. Difatti la vicenda si trascinò: dopo il suicidio alle analisi Doria risultò vergine, i Manfredi fecero causa, Elvira ebbe una condanna che Puccini e Ricordi fecero sospendere con una elargizione, ed intanto si seppe che la relazione esisteva, ma fra il compositore e la cugina di Doria, Giulia, che da lui ebbe il figlio Antonio…
Ne nacque un film di Paolo Benvenuti, “Puccini e la fanciulla” del 2008. Sì, perché il cinema e la TV si impossessarono della figura del musicista (“Puccini” del 1953 con Gabriele Ferzetti, lo sceneggiato “Puccini” del 1973 con Alberto Lionello nel ruolo, “La famiglia Ricordi” del 1994 trasmesso dalla Rai, “Puccini” (2009) miniserie un po’ di fantasia diretta da Giorgio Capitani e trasmessa dalla Rai).
Escluso da queste diatribe, resta il dramma estremo di Puccini: il finale della “Turandot”. Vittima di un cancro alla gola, il compositore – tentando un estremo e devastante intervento chirurgico – si trasferì nel 1924 a Bruxelles portandosi dietro il materiale musicale dell’opera, giunta al punto della morte di Liù e prolungata con 23 fogli di appunti pentagrammati.
Egli si tormentò sulla resa musicale del bacio che il principe Calaf doveva dare a Turandot, trasformandola da gelida creatura in donna amante e ardente, senza giungere ad una soluzione. Toscanini, che però non ebbe mai rapporti distesi con Puccini, si unì a Ricordi nel volere un completamento post mortem dell’opera, cosa che fu commissionata al M° Franco Alfano. Toscanini intervenne anche sul suo finale (Alfano 1), riducendolo e togliendogli unità, ma è quello che si esegue sempre (Alfano 2).
Nel 2001 il compositore Luciano Berio ne scrisse un altro, sempre meditando sugli appunti pucciniani, bellissimo, privo di trionfalismi, con sonorità leggerissime e un’uscita di scena silente dei protagonisti: esso è stato eseguito dal direttore d’orchestra Riccardo Chailly all’Expo di Milano il 1° maggio scorso, ed in effetti sviluppa le idee musicali estreme del Maestro.
Quale dei due finali avrebbe accettato? Ecco il cosiddetto ‘quarto enigma’ della musica di Puccini. Chissà se un nuovo ricercatore non giungerà a risultati inediti. E questo sarebbe motivo di creazioni televisive con fondamento scientifico, esaustive di parte visiva e parte musicale, quelle che il pubblico vuole nella propria casa e che vive come autentico dono del servizio pubblico.