L’assunto di base, nonchè realtà assodata da cui parte la discussione, è che non esiste una soluzione unica nel settore della comunicazione. Nel momento storico in cui social network sono divenuti una nuova dimensione della quotidianità, un giornalista non può pensare che esulino dalle sue competenze. Bisogna capire come dovrà muoversi il giornalismo, e anche quali contenuti funzionano meglio su alcune piattaforme rispetto ad altre: Facebook Live ad esempio, probabilmente farà la differenza nella copertura degli eventi.
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Le persone che la sera guardano il telegiornale si sono dimezzate: “Il mio ente televisivo ha provato di tutto -racconta la giornalista canadese Alison Broddle- ma siamo ancora alla ricerca del format vincente, perché avendo un mandato, non possiamo abdicare puntando solo sul web. Avevamo messo i pacchetti televisivi in rete, ma nessuno li scaricava. Ora stiamo lavorando su pacchetti brevi che possano delineare una storia velocemente, perciò facilmente fruibili anche da smartphone”. La copertura de gli eventi live, prosegue, “ci dimostra che in quei casi riusciamo a mantenere una posizione leader: il bacino si era rivelato sorprendente rispetto alla solita media di spettatori”.
“Mi sono chiesto quel fosse il calo degli spettatori televisivi”, esordisce nel suo intervento Ibrahim Helal di Al-Jazeera. Perché in Medioriente le persone non sono pronte a guardare 25 minuti di telegiornale se poi, invece, guardano partite e film di due ore, magari anche scadenti?
“Negli ultimi cinque anni la tecnologia ha compiuto passi fino a prima impensabili: se prima la gente comprava un giornale negli autobus o per strada, adesso gioco con lo smartphone. Nel 2017 si prevede che il tempo passato davanti al telefono supererà quello trascorso davanti alla tv. Si stima una media di 188 minuti al giorno con lo smartphone in mano. E i contenuti più visti sono video amatoriali. Invece, quelli professionali realizzati dai giornalisti no. Perché un simile situazione?”, si domanda l’uomo. La conclusione di Ibrahim Helal è semplice: “Siamo diventati prevedibili. Quando succede qualcosa, gli spettatori già immagino cosa accadrà in seguito e quale sarà la nostra copertura”. Insomma: c’è fortemente bisogno di creatività, oltre che di qualità.
I social però, non è detto sottraggano utenti, perché a volte, al contrario, consentono a persone che comunque non avrebbero fruito di un determinato contenuto di essere raggiunte dalla rete. La Broddle ricorda quando il suo editore era sconvolto all’idea di realizzare un promo di soli 45 secondi per un documentario della sua emittente, quasi questo svilisse il prodotto. Quei pochi secondi di promo però, diffusi in rete, hanno fatto sapere dell’esistenza del documentario a un pubblico che, comunque, non l’avrebbe visto.
In definitiva, al momento, le testate stanno procedendo per tentativi, senza sapere quale cioè sarà la formula vincente. “Nessuno sa quello che sta facendo: dovremmo cercare di capire quali sono gli attori che operano per cambiare un mercato di grande incertezza”, conclude Sambrook. “Il settore giornalistico in definitiva, deve cercare non di sostituire il giornalismo televisivo come lo conosciamo, ma cercare di capire come andare oltre”.