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L’agguato e l’inchiesta
Era il 20 marzo 1994 quando un commando di sette uomini fermò la jeep con a bordo la giornalista Ilaria Alpi e il cineoperatore Miran Hrovatin. I due vennero uccisi da una scarica di kalashnikov, a pochi passi dall’ambasciata italiana a Mogadiscio, in Somalia. I mandanti dell’omicidio sono ancora un’incognita, insieme a chi fossero i sette uomini del commando.
I giornalisti erano in Somalia per documentare il rientro in patria del contingente italiano inviato in missione di pace. Ma Ilaria Alpi stava seguendo anche un’altra pista riguardo un traffico di armi e rifiuti tossici tra Italia e Somalia. Per questo la settimana prima dell’assassinio Ilaria e Miran erano andati a intervistare il “signore” di Bosaso, una città nel nord del Paese, a proposito di una nave sequestrata dai pirati, probabilmente utilizzata per traffici illeciti. E forse avevano scoperto indizi che non potevano venire alla luce.
Un colpevole di comodo
Dopo tre anni di indagini, nel 1998 è il momento della svolta. L’ambasciatore Giuseppe Cassini porta in Italia tre somali: Omar Hassan Hashi, venne portato in Italia per testimoniare sulle violenze perpetrate dal contingente italiano nel suo paese, Sid Abdi, l’autista di Ilaria e Miran e Ali Ahmed Ragi, detto “Gelle”, testimone oculare dell’aggressione.
Sid Abdi e Gelle dichiararono che Hashi era uno dei sette uomini del commando che sparò ai giornalisti: l’uomo venne immediatamente arrestato
In appello la Cassazione lo condanna a 26 anni di carcere. Siamo nel 2003.
Nel 2004 viene istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta, nascono da qui dubbi sulla veridicità delle testimonianze. Nonostante la commissione non avesse trovato né il mandante, né il movente, i risultati raggiunti nelle indagini permisero la riapertura del caso.
Nel marzo del 2015 una nuova svolta. Il testimone chiave Gelle, sparito da Roma, viene scovato a Birmingham (Inghilterra) da una giornalista di “Chi l’ha visto?”. Dopo un’inchiesta lunga un anno, il somalo racconta dell’accordo propostogli dall’ ambasciatore Cassini: una falsa testimonianza in cambio di un visto per lasciare la Somalia. Nel gennaio del 2017 la Corte d’ Assise di Perugia assolve Hashi provando che il coinvolgimento dell’uomo è stato un depistaggio.
Le ultime notizie
Dopo la liberazione di Hashi la Procura di Roma riapre le indagini, ma nel luglio 2017 il Pm Elisabetta Cennicola chiede l’archiviazione del caso.
Alla vigilia del 20 marzo 2019 l’archiviazione potrebbe realmente arrivare.
In questi 25 anni è stata istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta, sono stati scritti libri, girati film, realizzati speciali in tv, ad Ilaria è stato intitolato un premio per il giornalismo televisivo, le sono state dedicate scuole, piazze, vie. Una forte opera di sensibilizzazione volta a fare giustizia, a scoprire la verità e far sì che questo tragico evento resti nella memoria di tutti noi.
Luciana Alpi, la madre di Ilaria, non si è mai arresa, ha combattuto fino all’ultimo per avere giustizia, ma pochi mesi fa è morta, senza aver mai conosciuto la verità sull’omicidio della figlia.
A continuare questa lotta, oggi dopo venticinque anni da quel fatidico giorno, è Mariangela Gritta Grainer, un’audace parlamentare.
#NoiNonArchiviamo è l’hashtag della petizione che ha lanciato sul sito di change.org per impedire l’archiviazione del caso, per dare giustizia a Ilaria, a Miran e alle loro famiglie, per continuare a cercare la verità, ad oggi ancora inspiegabilmente troppo lontana.