Il programma di Emilia Brandi condotto dalla stessa Emilia Brandi si compone di sei puntate. Tutte sono previste in seconda serata ad eccezione dell’ultima in prima serata. L’argomento di cui tratterà è ancora in via di definizione. Il programma racconta storie di giornalisti di testimoni di giustizia e di manager pubblici che hanno lottato e hanno pagato in prima persona con minacce, per difendere il territorio dagli attacchi della mafia e della ndrangheta. L’inizio stabilitòo doveva essere il 5 novembre scorso.
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Andrea Fabiano direttore di Rai 1 sottolinea: “Cose nostre da spazio a personaggi che pur avendo combattuto a favore della legalità non hanno però avuto dai massmedia l’importanza dovuta che ne potesse mettere in evidenza il proprio coraggio. Valore aggiunto del programma è che si svolge nei luoghi dove sono realmente accaduti i fatti. Portare queste storie in una fascia oraria di maggiore visibilità è il nostro futuro obiettivo. In estate abbiamo realizzato una puntata sulla Calabria che ha raccolto un tradimento notevole da parte del pubblico. Cosa nostre è un prodotto ideato e realizzato interamente dalla Rai con la collaborazione dell’Associazione nazionale della stampa italiana”.
Infatti alla presentazione della nuova edizione di cose nostre c’è anche Beppe Giulietti presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana. Afferma: “bisogna puntare sul giornalismo d’inchiesta e sui giovani talenti. Mai affidare il compito di combattere la criminalità organizzata ad una sola persona. Ma c’è bisogno di un gruppo di giornalisti che faccia parte quindi di un pool investigativo. Per combattere la mafia non c’è bisogno soltanto dell’azione della polizia e delle forze dell’ordine e io invito tutti a rappresentare una scorta mediatica per coloro che sono minacciati. In quest’ottica è molto gratificante il lavoro che sta facendo la Rai”.
Rosy Bindi sottolinea il ruolo del giornalismo d’inchiesta: “la mafia non si combatte solo con le forze di polizia ma con l’aiuto dei cittadini che fanno il loro dovere ciascuno nell’ambito delle competenze specifiche. Noi abbiamo voluto realizzare un’inchiesta sui giornalisti minacciati e cerchiamo di dare loro una mano. Ma vogliamo sapere anche chi sono i giornalisti collusi per cercare di recuperarli alla legalità.”
Giuseppe Antoci minacciato dalla mafia sottolinea: “sono venuto a conoscenza che i fondi europei destinati all’agricoltura stavano arrivando proprio all’organizzazione mafiosa. Sono stato oggetto di un attentato lo scorso maggio al quale fortunatamente sono sopravvissuto. Abbiamo tutti bisogno di normalità perché è l’unico mezzo per lottare contro la mafia”.
Interviene Paolo Borrometi giornalista sotto scorta: “Io sono stato minacciato per aver raccontato la mafia in provincia di Ragusa, un territorio che era stato sempre considerate fino ad allora immune”.
Luigi Necco: “sono diventato per caso un giornalista di Novantesimo minuto tu senza conoscere niente dello sport allora. Ma tutti i giorni ero a contatto con storie di violenza di morte di sopraffazione mafiosa e camorristica. Io ad esempio sono stato l’ultimo ad intervistare Rocco Chinnici ma l’intervista andata in onda è stata tagliata in molti punti. E per un certo periodo ho avuto anche la scorta. Il mio appello è di fare in modo che i giornalisti Rai possono continuare a svolgere un lavoro così importante”.
Emilia Brandi conduttrice, annuncia che il programma avrà anche una prima serata.
Infine il senatore Bubbico: “c’è bisogno del senso del proprio dovere per vincere la mafia la lotta contro la criminalità organizzata è un problema di politica di cultura e di senso comune. Bisogna cioè costruire una cultura comune che isoli i contesti mafiosi. Bisogna limitare il potere di mafia e ndrangheta che deve sentire il fiato sul collo da parte non solo delle istituzioni ma soprattutto dei cittadini. Abbiamo bisogno soprattutto di inculcare il senso del dovere e del rispetto verso le istituzioni nelle donne calabresi che hanno sempre avuto un ruolo importante nella lotta contro la ndrangheta. Anche i giovani devono essere educati attraverso l’impegno scolastico. Significa che devono essere affrancati dalla cultura mafiosa e dall’ambiente criminale in cui sono costretti a vivere”.