La scorsa settimana la Iena ha acceso i riflettori su questa macabra “pratica” che recluterebbe i suoi adepti tramite il web e che, in Russia, avrebbe portato al suicidio circa 150 adolescenti in pochi mesi.
Una “sfida” lunga 50 giorni, durante i quali i partecipanti sarebbero chiamati ad affrontare quotidianamente alcune prove estreme. Il percorso si concluderebbe con un’ultima richiesta: trovare l’edificio più alto della città e gettarsi nel vuoto. Nell’inchiesta, inoltre, la Iena aveva approfondito se anche in Italia ci fossero stati casi simili.
In seguito al dibattito mediatico scatenatosi dopo la messa in onda del primo servizio, Matteo Viviani intervista Elisabetta Mancini, Vice Questore Aggiunto – Sezione anticrimine della Polizia di Stato.
Iena: La “Blue Whale” esiste o è una bufala?
Elisabetta Mancini: Le segnalazioni dopo il vostro servizio ci indicano che alcuni adolescenti sono stati irretiti da questo che non voglio chiamare “gioco”. Il caso più grave riguarda una ragazza di 13 anni, che è arrivata al 50° giorno di questa follia e che ha dichiarato che la sera si sarebbe tolta la vita e che ora è in ospedale. Poi c’è stato un papà che si è rivolto a noi perché, grazie a questo vostro servizio, si è accorto di segni strani sulle braccia del figlio, forme di autolesionismo, e ci ha chiesto aiuto. Invece, in un’altra località d’Italia, una ragazza… Un suo amico se n’è accorto e impaurito ci ha avvertito.
Iene: Riguardo alla ragazzina arrivata al 50° giorno che cosa si sa?
Mancini: Si sa quello che lei ci ha dichiarato. Ci ha dichiarato che la sera si sarebbe tolta la vita e che seguiva le regole di un curatore. Quindi, nella bruttura di questa storia c’è anche un dato molto positivo: ragazzi che fanno da sentinella ad atteggiamenti strani dei loro coetanei. E un’altra cosa bella che è capitata è che alcuni insegnanti hanno affrontato questi problemi a scuola. Hanno fatto rivedere il filmato e hanno parlato con i ragazzi di questo argomento.
Iena: Quindi è un bene parlarne?
Mancini: Assolutamente è un bene parlarne. Se questo servizio è servito ad accrescere la consapevolezza dei genitori sulla necessità di intercettare segni di disagio dei propri figli e di verificare con più attenzione l’uso dei social da parte dei propri figli, direi che è sicuramente un risultato positivo.
Iena: Ecco, ma in questo caso un genitore, piuttosto che un ragazzino insospettito dai post o dagli atteggiamenti di un amico, che cosa deve fare?
Mancini: Si deve rivolgere alle forze di Polizia se esiste un allarme. Vedere innanzitutto se ci sono dei segni fisici strani. In questo caso, incisioni, controllare i post, quindi seguire Instagram, Facebook, Snapchat e quello che condividono i nostri figli in rete è sicuramente importante. Qualunque cosa strana dovessero intercettare, provare a parlarne con lo stesso ragazzo e se c’è una negazione da parte del minore, rivolgersi a noi.
Iena: E cosa dovremmo dire, secondo lei, a chi invece continua a ripetere che questo fenomeno non esiste, dato che 24 ore dopo la messa in onda del servizio tre casi riconducibili a questo fenomeno sono stati accertati?
Mancini: Il vero pericolo è pensare che il pericolo non esiste. La serietà con cui le Iene hanno affrontato questo argomento e la serietà con cui anche noi come Polizia stiamo affrontando questo problema, credo che non legittimi nessuno a prendere la cosa con leggerezza.