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Alla conduzione la giornalista Elena Stramentinoli: “Ci siamo trovati spesso con le lacrime agli occhi, perché le vittime si raccontavano per la prima volta. Molte volte i genitori, quando si trattava di minori, nono conoscevano tutti quei dettagli che, invece, venivano detti a noi”.
La caratteristica di tutte queste storie è che le vittime erano sole, almeno fino al momento in cui hanno deciso di non vergognarsi più. “Da donna -prosegue la Stramentinoli- mi ha colpito l’estrema solitudine che vive chi si trova sotto ricatto: una spirale che, se non interrotta, può portare al suicidio”. In diversi casi le vittime sono rimaste in contatto con i poliziotti che le hanno aiutate, a sottolineare ancora quanto sia importante il rapporto umano.
Ancora: “Tutti possiamo commettere la leggerezza di mandare una foto perché ci fidiamo, perché tutti siamo alla ricerca di qualcuno che ci guardi e ci voglia bene: queste persone non sono più stupide, perciò io mi sono ritrovata a pensare alla leggerezza con cui a volte ho usato i social network”. La giornalista ricorda di quando ha chiamato a sua volta la Polizia Postale riguardo il comportamento di un contatto su Facebook: i ragazzini invece, non sanno a chi si possono rivolgere. I genitori non sanno mai niente, tranne quando la situazione diventa particolarmente critica: l maggior parte delle volte, lo vengono a sapere quando li contatta la Polizia.
Ad essere vittime di revenge porn e cybercrime sono soprattutto le donne; i maschi invece, cadono in truffe di tipo economico.
“I nuovi strumenti hanno cambiato il mondo, e come accade di solito, sono diventati anche strumenti per delinquere”: il Prefetto Roberto Sgalla ,Direttore Centrale delle Specialità della Polizia di Stato, punta l’attenzione sull’aspetto preventivo della produzione. Occorre sensibilizzare, direzione verso cui va pure l’iniziativa Una vita da social.
”Non credo nel proibizionismo: serve invece fissare delle regole, in particolare nelle famiglie”: la riflessione va fatta sul ruolo educativo e sull’uso responsabile. Se infatti alla Polizia arrivano storie di ragazzi chiusi 12 ore in camera davanti al computer, è chiaro che qualcosa non va.
La Stramentinoli precisa di aver chiesto a chiunque l’autorizzazione ad utilizzare audio e qualsiasi altro materiale. Al termine di ogni puntata infatti, si vede un confronto della conduttrice con il carnefice, per poi tornare dalle vittime e far ascoltare loro quanto registrato: “Era un modo per liberarsi di presenze pesanti. Nei vari casi, la reazione è stata di sollievo”.
La conferenza stampa si conclude qui.