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Rispetto alle precedenti, questa terza stagione vira molto di più verso il late night show satirico à la Colbert
Si, quello del resto è sempre stato il riferimento: i late night satirici all’americana. Non uno show alla Fallon, ma alla Colbert, John Oliver, Jon Stewart. L’edizione di quest’anno somiglia molto di più: il formato da 25 minuti, l’intervista, il pubblico live. La “figlianza” di questa terza stagione al modello si vede di più.
C’è un motivo?
Si, perché CCN è stato un programma altamente sperimentale. Ci siamo dovuti convincere noi stessi: prima che potevamo farlo, poi che potevamo farlo qui in Italia. Con quel gusto e quel registro comico. Quindi abbiamo iniziato il primo anno con una striscia di 15 minuti.
Essendo comedy Central una realtà interazionale, dovevamo anche convincere gli internazionali che c’era un italiano, peraltro molto basso e con questa voce, che avrebbe potuto fare un programma nel registro dei modelli americani. Ci siamo riusciti, tanto che CCN è stato esportato all’estero: esiste una versione spagnola, una sudafricana ed è in lavorazione quella tedesca. E l’avanzata non è ancora finita: CCN si espande come la Russia di Putin, invade Paesi stranieri.
Insomma: abbiamo sperimentato il programma con la prima stagione, lo abbiamo consolidato con la seconda, quindi quella di quest’anno è una crescita fisiologica. Mi piace dire che la terza stagione è lo sviluppo ormonale del vecchio CCN: la trovo una cosa rara per la tv italiana, far crescere un programma e portarlo step by step alla sua evoluzione.
Come si articola questa esplosione ormonale? Quali sono le novità?
Il cuore è quello cui lo spettatore tipo di CCN, se esiste, è abituato: il desk con l’editoriale satirico, con gli inviati, le grafiche, i contributi. Attorno a questo cuore, vi sono altri organi pulsanti altrettanto vitali: le interviste con l’ospite, a cui non riserviamo sempre lo stesso trattamento, visto che a volte siamo stati noi ad andarlo a trovare da qualche parte. Poi abbiamo un panel in cui mi confronto con altri comici parlanti, fondamentalmente altri stand up comedian, con cui ci confrontiamo con tono leggero su notizie d’attualità più o meno pretestuose. Poi filmati, soprattutto quelli di Edoardo Ferrario, che ha realizzato dei focus con il suo grande talento trasformistico. Abbiamo Simone Salis, corrispondente da Trumplandia.
Il cast si è allargato, e siamo l’unico programma ad avere dei cookies attivi come in rete: vengo continuamente interrotto da dei banner di Michela Giraud, che cerca di vendermi prodotti improbabili ma legati all’argomento di puntata.
Quali ospiti si sono seduti alla scrivania di CCN?
Ilona Staller alla prima puntata. Poi Daniele Dal Canto, il principale survivalist in Italia: perché da quando è stato eletto Trump è iniziata ufficialmente la fine del mondo, perciò dobbiamo prepararci. Poi il sondaggista Fabrizio Masia, anche se lo abbiamo tenuto in ostaggio meno di Mentana: ci siamo confrontati con lui su elettorato e flussi elettorali, visto che siamo in perenne campagna elettorale. Con il campione italiano di Risiko, perché noi abbiamo un campionato nazionale di Risiko, ci siamo confrontati sulla scena geopolitica mondiale. Ci sarà anche l’astronauta Umberto Guidoni, dato che ormai il nuovo trend è fare un giro nello spazio: non essendoci una Lonely Planet, ho chiamato un amico che ci è andato.
Nella tv italiana ormai se si parla di late show, ci si riferisce a quello di Cattelan. Che ne pensa?
Si tratta di un magnifico late show di stampo pop. Il suo modello è Jimmy Fallon; CCN si rifà invece a programmi come il Late Show, il The last Week Tonight, Full Frontal. Quello che noi facciamo è un altro tipo di show, con un altro tipo di intrattenimento.
Non sono concorrenti, sono alternativi.
La comicità in Italia sta cambiando?
A livello televisivo mi sembra che sia proprio ferma, nel senso che ci sono programmi legati a un modo più o meno passato di fare comicità, e che vengono riconfermati: è il caso di Colorado, Made in Sud. Poi ci sono programmi che portano un tipo di televisione comica già visto negli ultimi 20 anni come Eccezionale Veramente: sì, c’è l’innesto del talent, ma è comunque lo scalettone di comici uno dietro l’altro. Il talent è una riverniciatura.
Non mi sembra che si affaccino altri programmi comici, perché non si dà un programma in mano a un comico. Il comico è sempre un riempitivo, all’interno di altro: io ad esempio, al contrario, ho avuto il privilegio di fare un mio programma. Nel panorama italiano si stanno affacciando nuove cose, penso alla stand up comedy che sta crescendo: lo fa in un contesto di nicchia, però è una scena viva, probabilmente in ulteriore espansiva. Rispetto a questo fenomeno, non c’è un corrispettivo televisivo se non su Comedy Central, dove esistono molti spazi per una comicità più internazionale.
Sulla generalista, l’ultima novità è stato Il caso Scafroglia.
Lo stesso Guzzanti ha in parte deluso con Dov’è Mario…
Secondo me era un prodotto narrativo fatto da chi con la narrazione non si era mai confrontato, quindi ha avuto un taglio molto personale.
Secondo me è stato un esperimento interessante, però anche lì stiamo parlando di tv a pagamento. Non che sia necessariamente un male: bisogna uscire dall’ottica che la tv è quella generalista, è molto altro, incluso lo streaming.
Altri progetti lavorativi?
Io si, ma bisogna capire se ce l’hanno anche gli editori. Finita questa stagione, mi metto al lavoro sulla prossima di CCN.