Seconda stagione di Nemo, da dove riparte il programma?
Riparte da dove vi avevamo salutato: girare l’Italia e il mondo per raccontarvi storie più o meno complesse. Senza darvi soluzioni, ma cercando di far capire che la realtà è complessa: chi vende facili soluzioni vi sta prendendo in giro, perché non esistono soluzioni semplici.
Quali servizi vedremo nella puntata di giovedì?
Innanzitutto il nostro Enrico Lucci si è candidato a premier con i 5 Stelle: speriamo che vinca, ma soprattutto che rimanga con noi. Abbiamo fatto un’inchiesta pazzesca sui venditori di seme, una devianza tutta italiana della maternità surrogata: è un servizio che ci riguarda da molto vicino. Siamo stati nelle Filippine, dove c’è una guerra in corso delle autorità locali contro il terrorismo dell’Isis. Io invece sono stata in Niger.
L’anno scorso il programma ha faticato molto ad affermarsi, secondo lei perché?
Non tutto funziona sin dall’inizio. Quando si cerca di sperimentare un contenitore nuovo mettendo insieme tanti linguaggi, e così diversi tra loro, è quasi normale che ci siano dei problemi. La vera novità è stata la perseveranza della rete che ha deciso di non fermarsi, di investire in questo progetto fortemente convinta della sua valenza. Ci ha dato, così, la possibilità di rodarci e operare quei piccoli accorgimenti che ci hanno aiutato a crescere.
La scelta, in assoluto vincente, è stata quella di semplificarci. Poi l’introduzione dei due ospiti in poltrona, che è servita per parlare direttamente al pubblico e condurlo insieme a noi nel nostro percorso: un percorso che a volte può sembrare confusionario, ma vi assicuro che c’è sempre una logica dietro.
L’anno scorso era un’inviata prestata alla conduzione, adesso si sente una conduttrice?
Quest’anno parto con il bagaglio maturato l’anno scorso, che mi dà certamente più sicurezza e tranquillità. Io non mi voglio staccare dal mio ruolo di inviata o dall’idea di esserlo: io nasco cronista e cresco cronista.
L’opportunità che mi è stata data è unica: poter continuare a fare l’inviata e poi poter andare sul palco con quello che ho girato. Una delle frustrazioni maggiori che vivono gli inviati, lo dico per esperienza, è che quando tornano, tutto il loro lavoro è al servizio di qualcosa di più complesso e viene ridimensionato. Perciò io mi sento privilegiata, perché ho la possibilità di confezionare con gli autori uno spazio in scaletta per quello che racconto.
Che ne pensa dei programmi d’informazione della tv italiana?
Penso semplicemente che in televisione ci sono tanti contenitori e linguaggi: serviva un contenitore nuovo, per cui noi cerchiamo di non copiare nessuno. Abbiamo scelto una nostra strada e la seguiamo.
Detto ciò, io sono molto affezionata alla squadra da cui vengo, cioè quella di Piazzapulita: non ho nessun problema a definirla la miglior squadra giornalistica di talk che c’è sul campo.