Matteo, che cosa ha significato per lei, a cinquantasette anni, mettersi in discussione a MasterChef?
Si è trattato di una prova decisamente impegnativa perché ha significato mettersi in gioco in un gruppo in cui l’unico elemento in comune è la cucina.
Ho senz’altro scelto di partecipare a MasterChef, dove mai mi sarei aspettato di entrare, vivendo così da vicino le emozioni di una grande cucina; ma non è così automatico confrontarsi con gli altri e gestire le proprie emozioni. Durante la gara di cucina non c’erano problemi che invece si manifestavano nelle altre fasi. Credo che qualcuno avrebbe potuto smussare maggiormente alcuni lati del proprio carattere, io ho tentato di fare il mio.
C’è un ingrediente che più l’ha sorpresa durante le prove?
Non c’è stato un ingrediente in particolare. Posso dire che la prova che più ha suscitato la mia curiosità è stata quella coi fermentati: alcuni li conoscevo – com’è nel caso della colatura di alici – e li utilizzavo, ma con altri non avevo molta confidenza. Quello è stato il momento in cui ho sentito di dover incamerare tanto e ho continuato a sperimentare pure a casa.
Cosa pensa dei giudici?
Già li stimavo tantissimo, a partire da Bruno Barbieri, che reputo una persona molto raffinata. La new entry, Antonia Klugmann, è dolce e preparata, sa essere divertente e ironica. Bastianich è lo sportivo della situazione, mentre Cannavacciuolo emana molto calore.
Cosa le rimane maggiormente a livello umano di quest’avventura?
La grande professionalità di chi mi circondava, compresi i cameraman. Non ho mai trovato persone che mi guardassero dall’altro in basso, molti mi hanno trasmesso positività e tra questi includo il 50% dei concorrenti, del resto nella vita non puoi andar d’accordo con tutti.
Qual è l’esterna che più l’ha colpita?
Impossibile dimenticare la Norvegia, coltivo anche la passione della moto e ho sempre desiderato andare in quei luoghi, dico sempre ai miei amici: “con tre cappelletti sono andato in Norvegia”.
Si può dire che la prova di pasticceria sia stata fatale e, in generale, è temuta da tutti…
Sapevo già che la pasticceria era per me un tallone d’Achille. Cucino ogni giorno a casa e quando invito gli amici, chiedo spesso che portino il dolce e la bottiglia di vino, quindi, ammetto che non mi cimento molto, anche se li apprezzo molto, pur mangiandoli con moderazione.
È stato un onore conoscere di persona Iginio Massari, ascoltare i suoi suggerimenti, anche se i miei errori li ho compiuti. Quando si sbaglia, si paga (afferma molto sportivamente). Ho sempre detto: se devo uscire da MasterChef, meglio che accada nella prova dei dolci.
Dopo di lei è stato eliminato Italo, un concorrente molto discusso, è davvero così particolare?
Italo, per quel che mi riguarda, è stata la prima persona ad avvicinarmi dopo il rientro. Rocco è stato sportivissimo.
Con Italo c’è anche una vicinanza d’età e questo comporta una maggiore affinità. È un uomo di grande carattere, culturalmente preparato e di notevole esperienza; certo nel gioco di squadra metteva un po’ troppo di suo. Ho un bellissimo ricordo di lui e spero continui.
Prima di fare quest’esperienza, quant’era aperto verso le cucine estere?
Poco. Ritengo che quella italiana sia il top, anche se quando giro ovviamente mangio solo i piatti locali. Non bisogna perdere la nostra cultura culinaria.
Matteo, quali sono le sue prospettive future?
Mi guardo sempre intorno. Uno dei pensieri ricorrenti è il desiderio di non andare arrivare all’età della pensione come insegnante di educazione fisica, Vorrei realizzare un mio progetto personale magari vicino a un fiume d’acqua pulita, con qualche abete intorno. Farlo a cinquantasette anni non significherebbe cambiare vita, ma completare dei sogni che ho dentro. Inoltre voglio sottolineare che nel 2018 festeggio quarant’anni di campionati, durante i quali ho spesso gestito non solo gli atleti, ma anche i genitori.