Marco Camisani Calzolari, docente di Comunicazione Digitale presso l’Università Europea di Roma, imprenditore e intrattenitore televisivo, collabora con Striscia la Notizia, mettendo in guardia il pubblico dalle fake news ed elargendo consigli su come difendersi dalle truffe online. Attualmente si divide tra Roma e Londra. Abbiamo incontrato Camisani Calzolari per chiedergli indicazioni su come svolge il proprio lavoro.
Com’è iniziata la sua avventura di consulente di Striscia la notizia?
Gli autori conoscevano il mio lavoro svolto sia con La7 nel 2001 che alla Rai. Il Tg satirico desiderava introdurre il digitale all’interno dell’informazione nel piccolo schermo.
Rispetto all’Inghilterra pensa che in Italia gli utenti socials e web siano più inclini alla truffa digitale?
Non si direbbe ma lo stile di vita fa la differenza. Nelle regioni del Sud dell’Europa e non, o più in generale in tutti quei posti in cui c’è bel tempo, l’uso di Internet è relegato all’utilizzo degli smart phone, mentre al Nord – dove fa più freddo e il tempo è peggiore – si ha più contatto con i computer e con le macchine digitali più complesse. Potremmo fare un’equazione: più il tempo è bello, meno si smanetta con i dispositivi seri, più il tempo è brutto più invece si è portati a utilizzare devices più complessi.
A tal proposito, che cos’è il pronto soccorso digitale di cui lei è interprete in televisione?
Facciamo una premessa. Per quanto il mondo stia cambiando, come anche l’intrattenimento, la televisione rimane il mezzo migliore per avviare la popolazione all’uso di Internet e non solo. Il problema però della TV, non solo di quella italiana per intenderci, è legato ai servizi. Per quanto il piccolo schermo informi, i servizi giornalistici non sono mai precisi nel fornire informazioni esatte sul mondo del digitale. Il problema è molto semplice: a mio avviso non s’è cercato con intelligenza un modo per riuscire a parlare del digitale sotto l’ottica dell’intrattenimento. Molti si son fermati alla semplice lezioncina senza mai cercare un linguaggio nuovo.
Come ci si difende dalle fake news?
La scorsa settimana ho tenuto una lezione alla London School of Economics proprio su questo argomento, e all’Università Europea di Roma siamo riusciti a far partire il primo corso interamente dedicato alle fake news di cui sono estremamente orgoglioso. Il problema è semplicemente uno ed è di carattere metodologico: chi decide cos’è falso e cos’è vero? Chi decide cos’è fake e cosa non lo è? Se andassimo indietro di settant’anni nella Germania nazista…
Per esempio con Joseph Goebbels il ministro della propaganda nazista?
Esattamente. Lui è stato uno dei grandi della comunicazione, ma volta al male. Meglio correggersi che di questi tempi non si sa mai… Sostanzialmente parlare di campi di concentramento nella Germania Nazista sarebbe equivalso a parlare di fake news.
Quindi chi decide cos’è fake e cosa non lo è?
Se a decidere fosse Facebook, dovremmo ricordarci che stiamo parlando di una società privata che ha sede in un’altra nazione, ovvero negli Stati Uniti. Sembra un dettaglio, ma non lo è. Gli americani non possono decidere per noi. Quindi l’attenzione deve spostarsi verso l’utente, verso una sorta di pedagogia rivolta al buon utilizzo del web. Ma anche qui ci sono dei problemi. Per esempio un paese come l’Italia è particolarmente colpito dall’analfabetismo funzionale, ovvero dall’incapacità propria quando si utilizza il web di comprendere una news, figuriamoci una fake news.
Quindi possiamo dire che ogni strumento di controllo ha i suoi lati negativi?
Altro che. Un conto sono le regole che si dà una società, un conto quelle che si dà una nazione. Ma i lati oscuri sono in ogni dove. Immaginiamoci una sorta di tavolo di esperti, un piccolo parlamento, tutti delegati a capire e sentenziare che cosa sia una fake news e cosa no. La velocità dei processi informatici nel web è talmente elevata da essere incompatibile con qualsiasi controllo. Piuttosto è possibile immaginare che un giorno finiremo con l’eleggere una intelligenza artificiale che, con delle linee guida, decida per noi che cos’è fake e cosa non lo è.
Non pensa che il dilagare delle fake news possa essere conseguenza dell’utilizzo di Internet da parte di utenti non nativi digitali e quindi meno smaliziati?
Io divido gli utenti in due grandi categorie: gli utenti pro e gli hacker, che non sono i malvagi ma quelli che smanettano col computer e il digitale. Gli utenti pro utilizzano anche estremamente bene lo smart phone, ma sono gli stessi che qualora avessero un problema di interfaccia non saprebbero come rimediare. Faccio un esempio. Io ho due figli, uno di 14 anni e l’altro di 6. Il più grande è un utente pro, conosce dei gesture che io non conosco affatto, ma al primo problema di interfaccia mi consegna l’apparecchio in mano. Mentre il piccolo è come me, è uno ”smanettone” che vuole capire dall’interno come siano fatti gli oggetti. Potrebbe anche chiamarsi un hacker. E come sempre, per usare un’espressione inglese, black hat & white hat (ovvero cappello nero cappello bianco). Ci riferiamo agli hacker buoni e cattivi: i primi lavorano a fin di bene, i secondi stanno con Darth Vader (ride).
Quindi un consiglio sulle truffe online?
Per quanto abbia cercato di dare consigli sul piccolo schermo, molte persone ripetono i medesimi errori. Bisogna capire che il virtuale può essere reale. Per quanto oggi il mondo sposti i soldi come fossero bit, la verità è che poi questi bit si trasformano in soldi veri. Non vorrei apparire ripetitivo, ma le parole sono importanti… A volte si usa il termine virtuale per definire il web, ma non è così. Facebook è reale non è virtuale. Più precisamente rappresenta un modo per incontrare ”digitalmente” altre persone. Quindi queste due parole, virtuale da una parte e hacker dall’altra, assumono spesso un significato dispregiativo, quando in realtà andrebbero tradotte e pensate in maniera differente.
Lei è impegnato in Italia, tra Canale5 e RaiUno. Sta lavorando anche in Inghilterra?
No, e non è ho intenzione. Gli interventi a Striscia la Notizia li registro a casa mia (gira la telecamera mostrando la stanza studio piena di attrezzature all’avanguardia). Questo è il mio studio. È inutile che mi metta a lavorare nel terzo quarto canale della periferia inglese o londinese, risulterei megalomane. Il mio obiettivo è raggiungere quante più persone possibili. Naturalmente non voglio conquistare il mondo, mi sono trasferito a Londra per rimanere vicino ai miei figli e farli vivere un ambiente internazionale.
Segue la Tv italiana stando a Londra?
Mi concentro esclusivamente Sky News e Russia Today.