Marianna, partiamo dalla puntata in cui è stata eliminata. Come l’ha vissuta?
Le ultime prove sono state particolarmente impegnative anche perché, verso la fine, comincia a subentrare la stanchezza. Innanzitutto mi sono scontrata con Alberto, un ragazzo molto competitivo, motivato e con idee formidabili. In secondo luogo dover cucinare con degli ingredienti, solo se riconosciuti per davvero o per tattica, ha rotto un po’ l’equilibrio della prova in sé.
Mi rimprovero di non aver avuto la capacità di affrontare quel momento con tutta la lucidità necessaria.
I suoi colleghi in balconata hanno ipotizzato che lei non avesse riconosciuto degli ingredienti (si è ascoltato nei commenti). C’è stata una componente strategica?
Senz’altro c’è stata della strategia poiché, in fin dei conti, non si possono cucinare dei piatti con degli elementi troppo differenti tra loro; alcuni, invece, non li ho riconosciuti, dopo le prime cloche non si ha più la stessa sensibilità iniziale.
Come sono stati i rapporti con gli altri concorrenti?
Nel programma si vede poco; ma si son creati dei bellissimi rapporti. Nel cuore mi porto in primis Joayda, è stata una bella scoperta come persona ed è un’amicizia che continuerà. Mi sono trovata bene anche con Francesco, Simone, Alberto, Rocco, Stefano, Manuela e Denise. Forse mi sono avvicinata meno a persone più grandi di età, avevamo abitudini e pensieri diversi.
Con i giudici com’è andata?
Ogni chef mi ha trasmesso un insegnamento. In alcune occasioni mi sono sentita maggiormente sintonia ora con Cannavacciuolo, ora con Barbieri.
Nella puntata del 22 febbraio, durante la mystery box si è parlato dei confini mentali e gastronomici. Li aveva prima di frequentare la masterclass e quanto quest’esperienza le ha aperto gli orizzonti in tal senso?
Li avevo poiché non ho ancora avuto modo di visitare le nazioni di cui ci hanno proposto dei piatti. Inoltre non mi ero avvicinata a quelle culture di cui ho conosciuto da vicino sia la cucina sia chi la pratica. Con lo chef che mi è stato assegnato (ha preparato il biryani pakistano) ho avuto modo di raccontarmi e di ascoltarlo. Ho conosciuto una persona pazzesca, ricordo come se fosse ieri quando mi ha detto di essere scappato di casa all’età di nove anni attraversando, da solo, per mesi, nazioni senza che nessuno sapesse dove fosse. Sono rimasta impressionata dal suo coraggio grazie al quale è diventato uno chef ed è socio di una catena di ristoranti in Italia.
Marianna, quale impatto ha avuto con la cucina kosher?
Mi ha incuriosita molto in quanto ha delle regole precise da cui non si può transigere e io non sapevo nulla di quel mondo, non credo che avrei mai potuto conoscerlo di mia spontanea volontà.
Qual è stata l’esterna più formativa e che l’ha messa anche in crisi?
Il campo scout in Abruzzo poiché non è stato affatto semplice cucinare senza cucine. Ci siamo improvvisati. Riconosco, però, che queste difficoltà hanno inculcato in me ancora più determinazione.
Ci sono degli insegnamenti tecnici e umani che si porta con sé?
Per quanto riguarda l’aspetto umano ho imparato a non avere pregiudizi verso una persona senza averla conosciuta nella sua totalità. Sul piano tecnico, ciascuna critica degli chef è stato un input per comprendere dove migliorare.
Quali sono le sue prospettive future?
Non so nell’immediato. Questa esperienza mi ha dato la certezza che per me la cucina è una passione viscerale ed ho delle potenzialità da sfruttare; devo continuare a studiare e prepararmi per poter intraprendere un percorso professionale gratificante.