Con la stessa generosità che aveva mostrato sul red carpet è andato ben oltre i 60 minuti previsti per l’incontro, infilandosi e levandosi il cappellino nero da basket e il giubbino di pelle coloratissimo sopra una t-shirt bianca. Agitando le braccia al climax delle sequenze più emozionanti. Dedicando a ogni pellicola proposta un commento intelligente e schietto. E tralasciando elegantemente di inserire nella rosa dei suoi preferiti il film di Muccino “Baciami ancora” per il quale vinse il David di Donatello come migliore colonna sonora originale, nonché “L’estate addosso”, il Muccino del 2016 per il quale è tornato a scrivere la musica.
Dunque, i film più amati da Jovanotti, uno che – ha raccontato – da ragazzino frequentava la Sala Traspontina, in via della Conciliazione dove abitava (il padre era funzionario Vaticano), riuscendo anche a vedere film vietati ai minori di 14 anni “perché ero alto e riuscivo a passare”. Successe per “La febbre del sabato sera”, intrigante dalla prima sequenza, con John Travolta che cammina molleggiato sulla musica dei Bee Gees, un barattolo di vernice in mano. “Un’epifania musicale, un film che mi ha insinuato la voglia di andare a New York. Una scommessa vinta contro il parere dei produttori che non immaginavano il successo di una pellicola che mischia come in una macedonia working class, sesso, razzismo, turpiloquio, un protagonista sfigato che diventa un eroe solo il sabato sera nella sala da ballo, sulla musica di un gruppo considerato ormai bollito come erano allora i Bee Gees”.
Altra musica e altro film del cuore, “The Blues Brothers”. “E’ datato per ragazzine come mia figlia Teresa, nata nel ’98. Ma per tutti gli altri rimane un punto fermo. Geniale la scena nella quale Belushi e Aykroyd ballano accompagnati da Ray Charles. Landis fa riflettere la tastiera del pianoforte negli occhiali di Ray. E dà un colpo magistrale collegando attraverso la musica il dentro e il fuori del locale. Tutti ballano, ogni dettaglio della scena pare spontaneo e invece è un meccanismo perfettamente costruito”.
La maniacale cura del dettaglio nascosta dietro la spontaneità e la casualità fa mettere a Jovanotti nella sua top “Yuppi Du” di Celentano, il mostro sacro col quale Cherubini ha collaborato spesso e per un po’ anche suo “suocero”, essendosi il Nostro legato alcuni anni alla figlia Rosita. “Mi innamorai di questa pellicola a partire dai manifesti, dall’operazione di marketing. Anche questo uno come me ha da imparare da Celentano. Qui poi Adriano si inventò regista e per un pelo non vinse il Premio Opera Prima al Festival di Venezia”.
L’eterno ragazzo Jovanotti ha comunque nel cuore film con bambini, o ragazzi. Così è per “I 400 colpi” di un giovanissimo Truffaut, bianco e nero anno 1959. “Lo metto al primo posto. Mi sono identificato con quel ragazzo ribelle e trascurato dalla famiglia. Non perché ero nella sua condizione ma perché la regia è così coinvolgente da creare in te un alter ego”. Ancora ragazzi in “Timbuctu”, quelli che giocano a pallone nel deserto ma senza pallone e mentre terroristi islamici fanno la ronda in moto col fucile sulle spalle.
Emerge il Jovanotti terzomondista e civilmente impegnato in questa scelta. Quello privato, che si chiede perché la vita è ingiusta e distribuisce a caso il destino a ragazzi che partono dallo stesso piano, stessa classe, stessa comitiva (Cherubini ha tre fratelli e uno, aviatore, è morto in volo nel 2007) emerge dalla scelta di “Stand by me” di Rob Reiner, tratto da “Il corpo” di Stephen King. “Un’opera di tanti anni fa ma non datata, è uno dei preferiti di mia figlia”, rivela. Con lei ha instaurato una sorta di lessico familiare anche grazie ai lavori di animazione del “grande genio” Hayno Miyazaki. Ancora la giocosità, la semplicità e un rimando all’infanzia sono nella predilezione per “Altrimenti ci arrabbiamo”. “Bud Spencer lo adoro, mi piaceva da ragazzino perché aveva la stazza di mio padre, però era simpatico mentre io di babbo avevo soggezione. E poi mi esaltano, e ce ne sono in questo film, le scene in cui si rompe tutto. Servono a liberarsi, come il rock”.
Nell’Olimpo di Lorenzo c’è anche il Quentin Tarantino di “Kill Bill vol.2”: “La lotta tra Uma Thurman e Daryl Hannah è un concentrato di idee visive e musicali. E poi è la prima scena del cinema mondiale con un calcio sulle palle di una donna…”, scherza.
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Sentimenti amorosi rilanciano “Un sogno lungo un giorno” di Francis Ford Coppola (“Nella sequenza finale illustra il vero amore, quello per cui una donna porta la luce nella vita di un uomo. Adoro Coppola e ringrazio Monda di avermelo presentato a casa sua in Usa anche se io sono riuscito solo a stringergli la mano e a dirgli grazie….”). Ancora, Cherubini si inchina ad “Adrej Rublev” di Tarkovskij, a “Taxi driver”, ad “Amarcord” ma anche a “Io Chiara e lo scuro” del toscano, come lui, Francesco Nuti.
Ma sa di aver lasciato molto fuori. Così si scusa in anticipo leggendo dal suo telefonino una lista che pare non finire mai. Contiene Pasolini, De Sica, Chaplin, De Palma, Sergio Leone, Benigni, Kubrick, Herzog, il cinema civile di Rosi…”Come si fa a non metterli?”, si scusa celiando. E il pubblico, compreso il leader dei Subsonica, va in delirio.