Alto gradimento, Bandiera gialla e Discoring sono solo alcuni degli show con cui i due hanno letteralmente scardinato gli schemi di una Rai ancora ingessata in una rigorosa veste istituzionale. Renzo Arbore e Gianni Boncompagni si sono conosciuti nel 1964 – durante un concorso per lavorare in Rai – e da allora hanno lavorato insieme per decenni, riscrivendo la storia del varietà radiofonico e televisivo italiano. Sono rimasti amici fino alla morte di Boncompagni, il 16 aprile 2017.
In conferenza stampa, Renzo Arbore aveva spiegato come NO, non è la BBC volesse essere molto diverso dai consueti eventi commemorativi. Per il suo inseparabile amico e collega, aveva annunciato una serata ironica, vivace, imprevedibile, persino dissacrante in alcuni passaggi. “Proprio come avrebbe voluto lui, com’erano la sua stessa natura ed i suoi spettacoli”, ha ripetuto a più riprese nelle dichiarazioni della vigilia. Lo ha ribadito pure nell’intervista realizzata da noi di maridacaterini.it.
Sono stati tanti momenti dedicati agli amarcord. Oltre allo stesso Arbore – fonte inesauribile di aneddoti sulle loro scorribande – abbiamo visto protagonista Raffaella Carrà, che a Boncompagni è stata molto legata anche sentimentalmente. Così come hanno partecipato decine di altri artisti e protagonisti della tv che al regista aretino devono molto.
NO, non è la BBC è stato fortemente voluto dal Direttore di Rai2, Carlo Freccero. Già all’inizio della sua breve direzione aveva espresso il desiderio di riportare sulla seconda rete Renzo Arbore, in un omaggio al glorioso sodalizio con Boncompagni e allo spirito dei loro spettacoli. Il desiderio si è concretizzato proprio nel lungo show di giovedì sera, all’indomani dell’annuncio dell’addio di Freccero a Rai2, previsto per fine novembre.
La serata è stata realizzata negli studi Rai di Via Asiago 10, a Roma, lì dove è nato il sodalizio tra Arbore e Boncompagni.
Di seguito potrete ripercorrere il racconto in diretta di NO, non è la BBC.
Renzo Arbore apre la serata sedendosi davanti al microfono di RaidoRai, insieme ad un cartonato di Gianni Boncompagni. “Parla” all’amico affettuosamente, come se fosse di fianco a lui, e gli spiega com’è nata la serata. Lo redarguisce anche – simpaticamente – per essersene andato prima di lui. Arbore lancerà simbolicamente ogni passaggio della serata omaggio, dalla postazione di fianco al suo amico. Parlando con lui.
Il titolo dello show viene dall’omonima sigla del loro celebre esordio radiofonico, Alto gradimento.
Ma Renzo Arbore è andato pure a casa Boncompagni, a cena con le figlie Barbara, Paola e Claudia.
Insieme a loro inizia il ricordo. Parte da Bandiera Gialla (1965), un programma radiofonico che fece ascoltare per la prima volta in Italia la musica Beat, il rhythm&blues, i Beatles e i Rolling Stones, James Brown…In una parola, la musica statunitense di quegli anni, quasi del tutto sconosciuta da questo lato dell’Atlantico.
È una carrellata ritmata delle immagini e dei ricordi legati a Bandiera Gialla, con il commento di Roberto D’Agostino, Massimo Bernardini e Dario Salvatori.
Tra i momenti memorabili degli anni ’80, invece, la partecipazione dirompente di Rocky Roberts a Cari amici, vicini e lontani.
Uno show ad alto tasso d’ironia e irriverenza, a cui parteciapavano – tra gli altri – Patty Pravo, Loredana Bertè, Mike Bongiorno, Enrico Montesano, Franco e Ciccio.
Tornando a Bandiera Gialla, fu in quella trasmissione che fece apparizioni rimaste celebri Lucio Battisti.
Atra stagione indelebile, quella legata club romano Piper. Protagonisti assoluti Patty Pravo e Renato Zero. Ma partecipavano anche artisti del calibro di Luchino Visconti, Gino Cervi e Carlo Giuffrè.
Sempra nella sala della radio, Renzo Arbore scherza con Gianni Boncompagni per introdurre la parentesi dedicata a Raffaella Carrà.
L’artista ricorda che si incontrarono la prima volta per una stramba intervista voluta da Gianni Boncompagni alle 6 del mattino. Lo scenario era quello non indifferente della scalinata romana di Trinità dei Monti, a Piazza di Spagna.
La Carrà racconta di quell’approccio totalmente fuori dagli schemi e poi parla del loro legame sentimentale, nato lentamente, nel corso di più di un anno.
Tra i loro sodalizi artistici più conosciuti, spicca senza dubbio Ma che sera (1978), con la regia di Gino Landi ma scritto proprio da Gianni Boncompagni.
Una collaborazione continuata nel tempo e non solo in televisione. Visto che Boncompagni è autore anche di gran parte delle canzoni più conosciute di Raffaella Carrà.
Dal Tuca Tuca a Fiesta, passando per Tanti auguri e Felicità Ta Ta, come hanno raccontato loro stessi a Fabio Fazio in un’intervista a Che Tempo che fa del 2011.
Se c’è un programma simbolo del sodalizio artistico tra Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, è il radiofonico Alto gradimento. In una Radio 2 ancora impostata, seriosa e pacata i due arrivarono come un ciclone. Improvvisavano come nel jazz, ma la loro arma era l’ironia: dissacranti e irriverenti, imperversarono nell’etere per quasi dieci anni insieme a Mario Marenco, Marcello Casco e Giorgio Bracardi.
Di Alto gradimento parla anche Fabio Fazio. Il conduttore ricorda di quanto fosse da ispirazione per quelli, come lui, che provavano a fare qualcosa del genere nelle piccole radio private.
Gianni Boncompagni, Giorgio Bracardi, Mario Marenco e Renzo Arbore lasciarono poi il segno anche in trasmissioni televisive come Cari amici, vicini e lontani.
“Non sono state tutte rose e fiori. Ti ricordi che fummo cacciati dala televisione?”, dice Renzo Arbore a Gianni Boncompagni. In effetti, furono allontanati per cinque anni dopo una partecipazione alquanto sopra le righe a Canzonissima ’71.
Poco dopo il ritorno del 1976, Superstar divenne un programma cult con Boncompagni anche alla regia.
Pronto, Raffaella?, del 1983, segnò la collaborazione con Giancarlo Magalli come autore. Oltre ad essere un grande successo, fu una rivoluzione per la fascia mattutina a ridosso di mezzogiorno.
Molti ospiti – tra i quali un giovanissimo Fabio Fazio alle prese con un’improbabile imitazione di Mike Bongiorno – comicità, giochi e le telefonate dei telespettatori da casa.
Per alcune puntate, nel 1985, Gianni Boncompagni passò davanti alle telecamere e di fatto condusse parte delle puntate insieme a Raffaella Carrà. La presentatrice ricorda ora quei momenti come “incredibili”, per il salto di qualità che secondo lei Boncompagni faceva fare al programma.
La stessa Raffaella Carrà, poi, spiega la loro rottura in ambito sentimentale: non ci fu una vera e propria rottura, né altre persone di mezzo. Successe che lei andò in Sud America, dove stava avendo molto successo – tra l’altro spinta proprio da Boncompagni – e quella distanza cambiò il loro rapporto. “Il nostro rapporto divenne un’altra cosa, ma io continuo a dire che la mia famiglia è anche Gianni Boncompagni“, puntualizza la Carrà.
Il racconto di NO, non è la BBC riparte, subito dopo, da Patatrac del 1981. Uno dei simboli di quel porgrmma è il celebre sketch di comicità muta con protagonisti Franco e Ciccio insieme a Lino Banfi in veste di musicisti.
A Drim, nel 1980, Roberto Benigni e Renzo Arbore si travestirono da donna e impersonarono due mamme. Fecero un numero prima con Franco e Ciccio insieme a Barbara Boncompagni – la figlia di Gianni – poi da soli.
Finirono a colpi di borsetta.
Isabella Ferrari arrivò nell’orbita di Gianni Boncompagni tramite un discografico, perché era anche una cantante. Con il regista lavorò a Sotto le stelle, nel 1981.
A NO, non è la BBC non poteva mancare Marisa Laurito.
Già molto conosciuta e affermata sia come attrice sia per la partecipazione a molti programmi come Quelli della notte, con Gianni Boncompagni divenne un vero e proprio fenomeno televisivo quando fu chiamata a Domenica In, nel 1988. Il ruolo che si ritagliò insieme a Boncompagni era, come al solito, carico di ironia e imprevedibilità.
NO, non è la BBC prosegue affacciandosi agli anni ’90. Ambra Angiolini racconta del suo rocambolesco arrivo a Non è la Rai. “Boncompagni era geniale. Sapeva essere altissimo e bassissimo, arrivava a tutti”, spiega.
Ai provini sembrava aver fatto una pessima figura. Si esprimeva male per gli standard della tv, ma Boncompagni vide qualcosa in lei e la scelse ad appena 15 anni. Non a caso, divenne conduttrice del programma dopo Enrica Bonaccorti e Paolo Bonolis. Finì per diventare una sorta di star del programma e non solo.
Anche Claudia Gerini deve molto a Gianni Boncompagni.
Come racconta lei stessa, non solo per la popolarità – che certo arrivò, ma lavorarono poco insieme – quanto per ciò che le ha insegnato, a cominciare dalla partecipazione a Primadonna (1991).
Racconta divertita come il regista tentasse di dissuaderla dal lavoro cinematografico, sostenendo che il cinema fosse morto. Lei, però, tornò da lui trionfante con il successo ottenuto con Viaggi di nozze, di Carlo Verdone.
Gianni Boncompagni era anche un appassionato – per usare un eufemismo – di tecnologia. Una passione quasi ossessiva che raccontò lui stesso nell’intervista a Che tempo che fa. Una passione per gli acquisti che si estendeva, in realtà, ai mercatini più improbabili.
Con lui andava spesso Giancarlo Magalli, che condivideva la passione ed ora racconta una serie di acquisti divertenti fatti insieme.
Sabrina Impacciatore, dal canto suo, conobbe Gianni Boncompagni durante un provino per Domenica In, quello per diventare ragazza pon pon.
Come successo ad Ambra Angiolini, la selezione non sembrava andata affatto bene, ma Boncompagni la scelse. E la consacrò a Macao – condotto da Alba Parietti – con il personaggio di Darla.
Sempre a Macao, Boncompagni portò anche Valentina Pace, alla ribalta con la Ballerina di Siviglia.
Lo stesso accadde a Lucia Ocone, che ora lo racconta a NO, non è la BBC.
Per lei, il ruolo era quello di una raver alquanto su di giri e sfacciata.
Ma la lista dei partecipanti a Macao non finisce qui: c’erano anche Paola Cortellesi, Enrico Brignano, Sergio Friscia, Fabio Canino.
A rendere un po’ geloso Renzo Arbore, per sua stessa ammissione, è Piero Chiambretti. Secondo il musicista foggiano, è uno dei pochi altri con cui ha avuto un’intesa paragonabile alle loro prime esperienze.
Lo stesso Piero Chiambretti racconta di un’atmosfera impareggiabile quando hanno lavorato insieme. Il loro incontro, da cui nacque Chiambretti c’è, fu opera di Carlo Freccero, chiamato a risolvere un problema che rischiava di mandare all’aria un programma ormai già pronto alla messa in onda.
Per lui, Boncompagni riusciva a far diventare televisione anche il vuoto, un’arte difficile.
E la fase finale di NO, non è la BBC riporta in video Raffaella Carrà. Stavolta, è chiamata a parlare dell’uomo Gianni Boncompagni.
Intelligente e ironico come pochi, ma soprattuto un padre sublime, dice la Carrà. Che poi ricorda come lo convinse a diventare una sorta di performer grottesco nelle sue ultime apparizioni televisive.
NO, non è la BBC si chiude con le parole commosse di Renzo Arbore, rivolte all’amico: “Gianni, durante questa lunga trasmissione non ti ho visto molto in forma. Ti devo confessare che non mi sono sentito nemmeno io. Chissà perché…”, ammette con gli occhi lucidi, come a sottolineare quanto gli manchi.
NO, non è la BBC finisce qui.
Una serata vittima della scelta pretenziosa di farla durare un’enormità. Il ricordo di Gianni Boncompagni si è seduto su se stesso nel finale, con perfino la carica di Renzo Arbore a mostrare segni di cedimento, superate le due ore e mezza.
Non che mancassero materiali video, aneddoti, cose da dire. Al contrario, è stata proprio la ricchezza del lavoro di Boncompagni a consentirne la tenuta, nonostante tutto.
Il format – benché non rivoluzionario come era stato annunciato – è sembrato godibile e vivace, finché non è caduto sotto il peso della durata. Poco cerimonioso, carico di amore per l’autore e regista toscano, improntato al ricordo utilizzando la stessa frizzantezza che lo contraddistinse.
Una sorta di lungo Techetechetè, romanzato e arricchito dagli aneddoti impareggiabili di Renzo Arbore, delle figlie, di Raffaella Carrà e di tutti coloro che hanno avuto modo di collaborare con Boncompagni.
Con alcune trovate – come quella iniziale della cena a casa Boncompagni o la ricostrruzione di una trasmissione radiofonica fittizia – non originali, ma funzionali.
È mancata un’analisi più approfondita di quel che ha significato il lavoro del regista nel rapporto tra televisione e società italiana. Ma come aveva annunciato Arbore, probabilmente non voleva essere quel tipo di programma.