A proposito della sua esperienza nella fiction Mediaset, Giuseppe Zeno l’ha definita «un lavoro di responsabilità», perché «quando si toccano personaggi del genere bisogna farlo con prudenza, altrimenti è facile renderli caricaturali». Nel senso che «il male va raccontato nella sua essenza, senza giri di parole e senza che questo susciti simpatie»: è fondamentale infatti non mitizzare le figure rappresentate, o c’è il rischio che la gente voglia imitarle.
Alla domanda, se un prodotto come Il clan dei camorristi possa avere una valenza educativa, la risposta dell’attore è: «Sposo la causa della Taodue, che con questi prodotti ricorda il cinema di denuncia di Gian Maria Volonté, tant’è che il linguaggio utilizzato ha delle caratteristiche che lo avvicinano più a quello cinematografico che non a quello televisivo». E prosegue: «mi è capitato di parlare sui social network con persone che mi contestavano di mostrare, ancora una volta, solo il lato brutto di Napoli; invece noi abbiamo raccontato la lotta della magistratura attraverso la figura del giudice Andrea Esposito. Però abbiamo anche mostrato come si possa perdere un posto di lavoro da un giorno all’altro; il punto è che una volta che la gente si ribella, queste organizzazioni criminali non hanno più motivo di esistere». Poi dichiara: «la serialità non va vista come semplice intrattenimento».
Zeno, che ha iniziato la sua carriera televisiva in soap come Incantesimo e Un posto al sole, è stato anche Santi Fortebracci nella serie L’onore e il rispetto, con Gabriel Garko, in onda su Canale 5. Una maniera differente di affrontare la delinquenza organizzata che, nel caso specifico è la mafia. Ovviamente, seppur con tutte le buone intenzioni, rimane la constatazione che «il male ha il suo fascino». Questo non significa che una fiction debba evitare di metterlo in scena. E, a proposito, Zeno sottolinea: «noi ci limitiamo a raccontare delle realtà che esistono; l’importante è farlo con senso critico e responsabilità. La percezione che ha il pubblico non dipende da nessuno; sotto questo aspetto la società, la famiglia in cui si cresce, il bagaglio culturale giocano un ruolo decisivo».
E allora perché scegliere di interpretare un personaggio come quello del Malese? Semplice, «ad affascinare in lui è il conflitto interiore. Pur essendo spietato infatti, pone il suo veto all’omicidio di un prete: è un criminale che fa di tutto e uccide chiunque, ma nello stesso tempo, si impone un limite». Il prossimo ruolo però sarà quello di un «buono»: il progetto si chiama Le mani dentro la città, ed è una fiction ambientata a Milano in cui si racconterà la mafia al nord. Giuseppe Zeno si conferma di nuovo interprete “impegnato” per la Taodue.
Le riprese sono terminate pochi giorni fa, il 29 ottobre, la data di messa in onda è ancora da decidere.