L’attore così presenta la fiction e spiega i motivi per i quali ha accettato questo ruolo non facile
Intanto ci dice chi è il giudice meschino?
Il mio personaggio, Alberto Lenzi è un Pubblico Ministero della Procura di Reggio Calabria che da anni esercita la propria professione senza più alcun interesse. E’ un uomo disilluso dalla vita, indolente, con molte distrazioni anche femminili. A ridurlo in questo stato “comatoso” sono state proprio le lotte senza quartiere da lui intraprese negli anni giovanili a favore della giustizia che però lo hanno lasciato sul campo sempre perdente.
Poi arriva la redenzione..
Si ma a quale duro prezzo. Viene ammazzato in un agguato criminale, il suo collega e amico carissimo il magistrato Giorgio Maremmi. A questo punto Lenzi capisce che non può restare nel suo guscio e esce allo scoperto, vuole capire i motivi dell’omocidio e assicurare gli assassini alla giustizia. Sarà un percorso lungo, duro, difficile, durante il quale la stessa vita di Lenzi sarà messa in pericolo. Ma alla fine riacquisterà la stima di se stesso.
C’è qualcosa in comune tra Montalbano e Lenzi?
Non esistono due personaggi più diversi tra loro. Montalbano vive in un luogo immaginario, legato ai ricordi di gioventù dell’autore. Appartiene più al mondo dell’arte e anche le sue tematiche personali non prevedono né un rapporto stabile né una paternità. E’ differente da Alberto Lenzi, giudice in terra di Calabria che si ricorda di essere un magistrato solo dopo lo choc per l’uccisione del suo migliore amico, magistrato anche lui.
Però Lenzi indaga come Montalbano. Non ha avuto timore di ripetere schemi già visti?
Infatti, prima di leggere il libro di Mimmo Gangemi da cui è tratta la miniserie, non ero sicuro di voler interpretare un altro investigatore espresso da una terra del sud infestata da una delle malavite più potenti del mondo. Il libro e la presenza del regista Carlo Carlei mi hanno convinto e così mi sono calato nei panni di Alberto Lenzi, giudice ‘meschino’, nel senso siciliano del termine cioè ‘poveraccio, uno che ha smesso di pensare alla sua vita”. E anche “un indolente e femminaro”
Quali sarebbero gli ingredienti graditi alla vasta platea televisiva che ama Montalbano?
Gli argomenti per piacere al pubblico della fiction ci sono tutti perché è una storia di riscatto e di rinascita di un antieroe, di un servitore ignavo dello Stato che fa un percorso personale di riscoperta.
In più c’è l’appeal della figura del giudice
Certo, si parla di giudici, in un periodo in cui il giudice è un’istituzione della Repubblica sotto accusa che ha avuto un’infinità di caduti, un numero quasi imbarazzante in un Paese democratico. A mio parere esiste una formula infallibile per uscire dalla crisi: tutti invocano misure drastiche, io penso che basterebbe che ognuno di noi ricominciasse a fare il suo dovere. Ognuno di noi dovrebbe dare il meglio.
Si punta anche l’accento sulla vita privata di Lenzi?
Alberto Lenzi è separato dalla moglie e ha, almeno inizialmente, un rapporto col figlio piccolo non proprio da manuale; ha una relazione con un’affascinante maresciallo dei carabinieri interpretata da mia moglie Luisa Ranieri, con cui condivide il lavoro ma non la volontà di dare una stabilità al loro rapporto.
A nove anni dall’esperienza di Cefalonia, la fiction durante la cui lavorazione vi siete incontrati, tornate a recitare insieme.
Tra i due personaggi, il mio e quello di Luisa, c’è un rapporto molto singolare, lei non stima Alberto, non capisce perché si comporta in modo così indolente nella vita e nel lavoro. Sente che è ferito ma non sa perché.