Il ruolo dei media è infatti fondamentale nel diffondere modelli che poi i ragazzi seguono , ma, contrariamente a quanto si possa pensare, la questione della parità di genere non riguarda solo l’Italia. Gli altri Paesi europei non sono immuni dagli stereotipi: Riccardo Luna, direttore di Wired, mostra una campagna pubblicitaria dell’Ue nella quale donne scienziato hanno vertiginosi tacchi a spillo, puntando nuovamente su una figura sensuale avulsa dalla realtà della professione. A causa delle proteste, l’operazione è durata appena sei ore prima di essere ritirata, spiega Luna.
Le differenze di genere persistono, tanto che si è ancora soliti pensare che le donne non siano portate per le materie scientifiche o che l’accudimento sia, implicitamente, compito riservato alla donna.
Dove invece la parità arriva prima sono i social media: se fino a qualche anno fa infatti, durante la fase di socializzazione al digitale, le donne erano in difficoltà, ora i dati sono cambiati. Lo sostiene il sociologo Derrick de Kerckhove, che ricorda come, durante la “primavera araba”, il 65% delle donne animava la rivoluzione in rete.
Lo conferma ancora Mario Morcellini, direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’università la Sapienza: cita studi secondo cui, a partire dall’età delle scuole medie, le ragazze registrano in rete le stesse performance dei ragazzi. Inoltre, avendo accelerato il processo di scolarizzazione, ora la percentuale di laureate è superiore a quella di laureati: 60% contro 40%.
Secondo Morcellini dunque, «il Servizio Pubblico deve fare da narratore del cambiamento; se lo fa la Rai, è welfare».
Eleonora Andreatta, direttrice di Rai Fiction sottolinea che va posta particolare attenzione alle fiction. La tv può contribuire a cambiare la percezione: Una mamma imperfetta ad esempio, ha raccontato una madre vista attraverso uno sguardo femminile.
Rai Fiction si sta perciò muovendo lungo tre direzioni: mostrare modelli del passato che possono ispirare storie moderne, scegliere sceneggiature che raccontino la professione più che il privato della donna ( a tale proposito, vedremo il tv movie Limbo e una fiction su una donna soldato in Afghanistan), pensare a contenuti per il web. La serie Romanzo familiare girata da Francesca Archibugi ad esempio, sarà anche in rete, ma diversa rispetto a quella che andrà in onda sul piccolo schermo.
Un approfondimento merita la pubblicità che, essendo pensata proprio per essere ricordata, incide in maniera determinante per quanto riguarda gli stereotipi di genere: non esistono cucine in disordine; le mamme sono giovani, con i capelli lisci e vestite in un «borghese twin set»; le donne oltre i 50 hanno in mano la candeggina o una pasta per dentiera; non ci sono donne in sovrappeso né basse. Sono seduttrici oppure portano la zuppa in tavola sorridenti, anche se adesso si iniziano a vedere uomini casalinghi.
In realtà gli spot proiettano in parte le fantasie del loro management; di conseguenza, per imprimere una svolta decisiva al cambiamento, occorre che a far parte di quel management ci siano anche figure femminili.
Lorella Zanardo, autrice del documentario Il corpo delle donne, è convinta che la tv sia un diritto: non bisogna criticare chi la guarda, ma piuttosto fornire le chiavi di lettura per decodificare i messaggi veicolati. Si tratta tuttora del medium più presente nelle case, e rappresenta uno strumento di formazione per chi non ne ha altri.
Se però un gameshow inquadra le concorrenti femminili a partire della caviglia per poi salire in alto, mentre quelli maschili frontalmente, allora è chiaro che la televisione deve cambiare. Occorre un programma, conclude la Zanardo, che proponga modelli nuovi, alternativi a quelli esistenti.
La giornata si è conclusa con i saluti di Anna Maria Tarantola, presidente Rai: l’uguaglianza di genere non solo è giusta, ma necessaria per sfruttare tutto il capitale umano del Paese e incrementare la crescita.
La presidente Rai ha espresso grande soddisfazione per la grande partecipazione a Donna è, momento di confronto tra professionalità e sensibilità diverse. Un unico dispiacere: che peccato che in queste due giornate gli uomini in sala siano stati pochissimi. Evidentemente non si sentono coinvolti, segno che occorrerà ancora discutere sul tema. Ma non c’è problema: «Vi aspettiamo».