Christian perché ha voluto mettere in scena questo Cinecittà, dove canta, balla, racconta. Una bella fatica. Chi gliel’ha fatto fare?
“La passione. Cinecittà volevo farlo da tanto tempo: è un viaggio alla riscoperta di un tempio del cinema italiano, raccontato attraverso i miei ricordi. Sono passato da comparsa a primo attore, eppure bastava che un film incassasse meno del precedente per ritrovarmi in un camerino meno confortevole. In questo varietà c’è molto di me. E’ un grande spettacolo, ma anche un progetto davvero faticoso tra danza, canto e recitazione. Ed io che ho appena compiuto 63 anni mi sono detto che questo era il momento buono per fare un’impresa del genere. Ora o mai più”.
Lei è reduce dai successi televisivi di Tale e Quale Show e poi ha anche partecipato alla fiction Un matrimonio di Avati. Quest’anno la Rai compie 60 anni. Che guarda in tv, quali programmi le piacciono e quali detesta?
“Mi piacciono programmi come Tale e Quale Show, forse perché sono di parte, programmi di intrattenimento in generale. Detesto invece i programmi urlati, i talk show dove si litiga e spesso e volentieri si dicono delle volgarità. Ecco, quelli proprio non li sopporto. Sono anche diseducativi, specialmente per i giovani”.
Rimaniamo in ambito televisivo. Ha partecipato a Tale e Quale Show. Una bella esperienza
“Sì, è stato divertente, in quel programma ho potuto essere me stesso. Molti amici mi hanno fatto notare che avevo veramente una faccia di bronzo perché dicevo tutto quello che pensavo. Ma il segreto è proprio questo: dare voce a quello che anche il pubblico da casa sta pensando”.
Si aspettava degli ascolti così alti per questo programma?
“Se li è meritati tutti perché Tale e Quale Show ha segnato il ritorno del varietà in tv, con una squadra di professionisti che lavora dalla mattina alla sera per divertire il pubblico. In tv si vedono solo talk show ed inchieste sulla crisi: basta! Ci vuole anche divertimento, evasione. Perciò i complimenti più vivi a tutti quelli che vi hanno partecipato”.
Come dicevano, la Tv di Stato ha compiuto 60 anni. Lei ha qualche ricordo in particolare?
“Sì. Avevo più o meno13 anni e accompagnai mio padre Vittorio in Via Teulada a Roma, dove era ospite di uno dei varietà più famosi degli anni ’60, Studio Uno. Fu un’emozione incredibile. E poi vorrei ricordare l’enorme successo di Bambole non c’è una lira, un varietà del sabato sera di Antonello Falqui del 1978, che mi lanciò come attore televisivo: lo videro ben 18 milioni di telespettatori”.
Il Festival di Sanremo è oramai capitolo chiuso per quest’anno. Lei lo condurrebbe?
“Non penso mi chiamino, ma se mi proponessero di condurlo ci andrei di corsa. E’ proprio il genere di spettacolo che fa al caso mio. E al mio fianco sa chi vorrei? Mio cognato, Carlo Verdone. Lui così rockettaro, io così melodico: pensi che coppia saremmo!”.
Torniamo al suo musical teatrale. Cosa racconta Cinecittà?
“Un mondo magico che ho conosciuto bene e che vogliono far scomparire. Non conosciamo i teatri di posa di Londra o Parigi, ma tutti sanno cos’è Cinecittà, ci ha resi famosi nel mondo come Armani e la pizza. La racconto dalle comparse ai grandi set, ho scritto aneddoti, ricordi. E’ anche un omaggio a mio padre Vittorio, mia madre Maria Mercader, ai Telefoni bianchi”.
Ricorda la prima volta che andò a Cinecittà?
“In macchina con papà, avevo sette anni, girava Il Generale della Rovere. Sandra Milo era bellissima ed io la guardavo ipnotizzato. Poi ci sono tornato quando di nascosto dei miei facevo l’attore. All’alba prendevo il pullman a Piazza Esedra, ed era meraviglioso e pensavo come ogni giorno mi avrebbero vestito”.