Scuola, università e accesso al mondo del lavoro, questi i temi principali affrontati da Gap nell’intervista al nuovo Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini.
Primo step, i fondi statali destinati all’istruzione e, in particolare, la cifra di 7 miliardi che lo Stato indirizza ogni anno al mondo delle Università “la vita è comparazione – sottolinea il Ministro Giannini – e questa cifra non è sufficiente.
Se guardiamo agli stanziamenti di tutti i maggiori Stati avanzati, non solo europei, capiamo che un sistema che gestisce un milione ottocentomila studenti, ne laurea duecentottantamila all’anno e ne immatricola grosso modo la stessa cifra, ed è un sistema che serve al Paese nella produzione e nella trasmissione della conoscenza, dovrebbe avere un rapporto rispetto al PIL un po’ superiore. Bisogna però iniziare a ragionare non nei termini di una pianificazione annuale e tardiva, ma almeno nel medio termine. Molto concretamente, chi gestisce il bilancio di un’università si trova ad avere la certezza dei fondi di cui dispone nell’esercizio finanziario in corso e non avere alcuna certezza di quello di cui disporrà nell’anno successivo. Il tema della programmazione è vitale affinché si abbiano dei risultati, lo porrò sul tavolo del Governo, non come sfida politica ma come impegno politico condiviso, iniziando a dire quali sono le risorse sul medio termine e quindi nel triennio”.
A questo segue una valutazione sullo sforzo di rendere più efficace il rapporto, non solo tra mondo del lavoro e dell’università, ma anche tra scuola e mondo del lavoro. “Questo è un tema che ormai trova una maturità nel Paese, sia dal punto di vista del mondo degli imprenditori – spiega il Ministro – che dal punto di vista del mondo dell’istruzione. Abbiamo già condiviso con Confindustria, da una parte, e il Ministero del Lavoro, dall’altra, un documento programmatico che riassumo qui in modo concreto: puntare molto sull’approfondimento degli apprendistati e della professionalizzazione e quindi del contatto con le imprese.
Cito poi il “Programma Garanzia Giovani” – continua – per far sì che già nel periodo della scuola sia possibile anticipare una permanenza in termini di stage, in termini di possibile inserimento nel mondo del lavoro”.
A questo proposito gioca un ruolo chiave la parola “semplificazione” nelle linee programmatiche presentate in Senato dal Ministro; da un sistema scolastico strutturato secondo la riforma Gentile a un susseguirsi di interventi normativi che negli ultimi anni hanno portato ad un accavallamento di riforme. “La parola che ho messo al centro è proprio “giungla normativa”. Questa giungla si è sedimentata negli anni e non sempre è frutto di una rivisitazione politica ma talvolta è solo un accanimento terapeutico sulle procedure. Accanimento – continua – che costringe a perdere di vista invece la valutazione dei risultati. Quindi “semplificazione” è l’unica parola che sceglierei per ispirare l’azione politica di questo Ministero in tutti i settori: scuola, università e ricerca”.
Anche il tema dell’invalsi, le prove omogenee fatte su tutto il territorio nazionale, viene evidenziato dal Ministro come strumento utile per valutare sia il livello di preparazione degli studenti che il lavoro dei professori. “A scuola si fanno due cose fondamentali, si insegna e si impara.
La valutazione degli alunni è lo strumento indiretto ma anche molto naturale ed efficace per valutare il lavoro dei professori. Se voglio capire se un insegnante insegna bene, devo vedere come imparano gli studenti. È un principio banale, però va applicato. E qualche volta il sistema resiste. E resiste, non perché i professori non si vogliano fare valutare, resiste perché c’è una cultura della non-valutazione colpevole di aver cagionato un appiattimento del ruolo dell’insegnante. Se oggi un ragazzo è molto bravo negli studi, raramente pensa di fare l’insegnante. E questo, non perche l’insegnamento non appassioni, ma perche questo ruolo è ormai categorizzato nella nostra società come un ruolo di serie B. E questo va ribaltato perché è invece un ruolo fondamentale per la crescita della nostra società. E come si fa? Si restituiscono alla scuola quegli strumenti che altri Paesi hanno. “Autonomia, responsabilità, valutazione”, è un triangolo che consente di riportare il ruolo dell’insegnate allo stesso livello del ruolo di altre, importanti e dignitosissime, figure dirigenziali dello Stato”.
Infine, una riflessione sulla necessità dell’ora di educazione civica intesa, non come mero approccio alle istituzioni della Repubblica, ma come cultura trasversale del vivere civile. “Ci devono essere due momenti distinti – spiega il Ministro Giannini – uno è quello dottrinale, i ragazzi italiani escono dalla scuola senza avere una minima introduzione efficace a contenuti istituzionali di base. Non studiano la forma dello stato, non studiano la costituzione nella sua architettura tematica. Il tutto è affidato a una preparazione o individuale o spontaneistica o di contesto, che non tutti i ragazzi hanno. E questa è la prima parte che va reintrodotta in forme moderne. L’altro momento riguarda il contesto, cioè abituarsi all’idea di come si deve essere cittadini, introdurre una cultura dei comportanti che nel contesto sociale si devono tenere. E forse questa è un’emergenza italiana. La forma del rispetto istituzionale, che è venuta meno, è un campanello d’allarme che ci arriva da tanti insegnanti e che deve essere ripristinata.
Questo – conclude – non si fa con l’ora di educazione civica ma con una serie di strumenti che sono, sì dentro la scuola, ma anche all’esterno. C’è un aspetto educativo che fa parte della famiglia, ed è un circuito virtuoso che va ripristinato. Credo che anche la Rai potrebbe fare molto in questo senso”.