Diego Abbatantuono, ideatore dello show e presentatore di questa ultima edizione, accompagnato dalla simpatica toscana Chiara Franchini, ha davvero doti d’attore che si distinguono, ma insieme alla sua compagna si abbassa ad un livello troppo deprimente con cadute di stile di tale grossolanità da inquinare pericolosamente la sua immagine. Sul palco i comici si presentano con abiti spesso molto bizzarri e pittoreschi, ballano, cantano, scherzano tra loro, si prendono in giro a vicenda, usano una comicità ridondante, fatta di tormentoni che si ripetono fino all’esasperazione e di scherzi puerili. Alla fine la “vis comica” si svuota di ogni significato e spesso viene da chiedersi quando il gruppo di artisti riuscirà a strappare davvero una risata genuina. Non è accaduto in tutte le puntate andate in onda da marzo fino alla conclusione dello show. E non è accaduto neppure con il ritorno di Paolo Ruffini in alcune puntate.
Difficile fare una distinzione tra un comico e l’altro, si assomigliano un po’ tutti e un po’ tutti ripetono gli stessi temi triviali. Sicuramente hanno grande autoironia e tra loro danno l’impressione di divertirsi molto, ma, a parte qualche battuta più accettabile che spunta di tanto in tanto e inaspettatamente, la sensazione di noia è quasi inevitabile.
Qualche momento di spettacolo un po’ più originale è offerto dagli Scemifreddi, da Eddy e la sua Mirabella family e da Suor Nausicaa. Per sorridere un po’ di più bisogna aspettare l’arrivo dell’ospite Gabriele Cirilli. Inizialmente sembra promettere bene, poi anche con lui il divertimento si spegne presto. Con qualche allusione in meno ai doppi sensi erotico- sessuali, anche Barbara Foria e Pintus sarebbero stati assai spassosi, ma il resto delle performance delude dall’inizio alla fine, sempre uguali, sempre le stesse, tanto che gli autori hanno potuto ironicamente inventare la categoria “miglior frase ricorrente” per gli Oscar di Colorado.
Dunque, nonostante i miglioramenti Colorado resta una trasmissione dall’umorismo piatto, scontato e sempre uguale che ha continuamente bisogno di ricorrere a volgarità nel linguaggio e nei contenuti per poter strappare una risata trasgressiva al suo giovane pubblico.