L’accordo definisce, tra l’altro, le sfere di influenza del Terzo Reich e dell’Unione Sovietica nei confronti dei paesi confinanti con i due stati.
Uno degli approfondimenti di questa puntata riguarda il 23 agosto 1927 giorno in cui Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, emigrati italiani negli Stati Uniti e attivisti anarchici, vengono giustiziati sulla sedia elettrica. Condannati a morte nel 1920 per l’omicidio di due uomini durante una rapina, la sentenza venne confermata da un secondo processo e dalla Corte Suprema dello Stato del Massachusetts. Il verdetto, per l’evidente faziosità manifestata dai giudici, suscita proteste in tutto il mondo. Nel 1977, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis, ammetterà gli errori commessi nel processo, avviando la riabilitazione della memoria di Sacco e Vanzetti.
{module Google richiamo interno} Inoltre, nell’anniversario della sua nascita, un ritratto di Edgar Lee Masters. Masters tenta i suoi primi esperimenti poetici che passano però inosservati. È la lettura di “Elegia scritta in un cimitero di campagna” di Thomas Grey e quella degli epigrammi greci dell’Antologia Palatina ad ispirargli il suo capolavoro, “L’Antologia di Spoon River”, pubblicata tra il 1914 e il 1916. Le poesie della raccolta rappresentano le meditazioni dei morti sepolti nel cimitero di una piccola città. In poche righe ciascuno di loro riassume il senso, spesso amaro o malinconico, della propria esistenza. Dal coro delle loro voci emerge anche un ritratto impietoso dell’infelicità, della meschinità e dell’ipocrisia della vita della provincia americana.
Alle 20.50 Il tempo e la storia si occupa di “Emilio Salgari”
Alle 22.30 Crash
Vincitore del Prix Italia nel 2012, è il documentario di Fernand Melgar dedicato a migliaia di uomini e donne incarcerati in Svizzera ogni anno senza processo né condanna. La ragione? Quella di risiedere illegalmente sul territorio.
Dopo “La Forteresse” – Pardo d’oro al Festival internazionale del film Locarno – che trattava delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in Svizzera, Fernand Melgar posa il suo sguardo sull’altra estremità della catena, ossia sulla fine del percorso migratorio.
Il cineasta si immerge nel corso di nove mesi nel centro di detenzione amministrativa di Frambois, a Ginevra, uno dei 28 centri di espulsione per Sans papiers in Svizzera.
A Frambois si trovano sia richiedenti d’asilo, la cui domanda è stata rifiutata, sia clandestini che, in attesa della loro espulsione, vengono privati della libertà per un periodo di due anni.
Alcuni tra questi si sono stabiliti in Svizzera da anni, hanno costituito una famiglia, lavorano, versano i contributi alle assicurazioni sociali e mandano i loro figli a scuola. Questo fino al giorno in cui i servizi cantonali di immigrazione decidono arbitrariamente di chiuderli in carcere per garantire la loro partenza dalla Svizzera. Il problema è che nessuno tra i detenuti è preparato a partire volontariamente, inizia quindi un lungo accanimento amministrativo per forzarli a farlo.
Dietro le porte chiuse delle carceri, il faccia a faccia tra il personale e i detenuti assume col trascorrere dei mesi, una dimensione di intensità a tratti insostenibile. Da una parte, una piccola squadra unita, motivata e impregnata di valori umani, dall’altra uomini alla fine della loro corsa, vinti, esauriti dalla paura e lo stress. Si allacciano quindi rapporti di amicizia e odio, rispetto e ribellione, gratitudine e rancore.
Fino all’annuncio dell’espulsione, spesso vissuto dai detenuti alla stregua di un tradimento, come un’ulteriore pugnalata. Annientati dalla legge e dal suo implacabile ingranaggio amministrativo, coloro che si rifiutano di partire volontariamente vengono legati e ammanettati, costretti a indossare elmetti e pannolini, e imbarcati di forza su un aereo. In questa situazione estrema, la disperazione ha un nome: vol spécial.