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Sono solo alcuni dei punti di vista scelti per proporre capolavori di ogni tempo, individuati sulla spinta della memoria e della suggestione poetica. Una narrazione ricca di sorprese con due linee drammaturgiche che si intrecciano sostenendosi a vicenda, da un lato il racconto di Marco Baliani e dall’altro schede a sfondo storico indispensabili per una comprensione dinamica di autori e opere, svelando qua e là il racconto della storia ufficiale, con le sue logiche e le sue motivazioni, tra le pieghe delle vicende personali dei nostri maggiori artisti e dei loro capolavori.
Ed ecco la consapevolezza serena di Maria, Madonna del Parto di Piero della Francesca, accostata alla Madonna del Latte di Andrea Pisano, che poco più di un secolo prima aveva rotto gli schemi del gotico in un gesto di infinita tenerezza tra madre e figlio, posti vicini nel racconto alla Madre di Gino Severini e alla Materia, ritratto della madre di Umberto Boccioni, opere rivoluzionarie e sofferte a cavallo della Grande Guerra. Così come dal Cristo morto di Andrea Mantegna – osservato nell’allestimento di Ermanno Olmi per la Pinacoteca di Brera in compagnia dello stesso regista – il racconto si spinge fino al grande cinema con Mamma Roma di Pasolini.
Un percorso completo all’interno delle diverse arti salda a doppio filo la narrazione di queste Storie, sempre introdotte da suggestioni e brani letterari, cercando all’interno del particolare – visivo, sonoro, letterario – il fil rouge che nel tempo le ha depositate nella nostra memoria comune e nella nostra cultura.
Di seguito le sinossi della prima puntata “La Madre”.
{module Google richiamo interno} Marco Baliani esplora il rapporto tra madre e figlio attraverso una scelta di opere che, partendo dal sacro e da epoche più remote, giunge alle madri meno auliche dei contemporanei. Punto di partenza nella descrizione è la Madonna del Parto di Piero della Francesca (1460 circa), opera dall’impronta decisamente teatrale. Ai lati della scena, infatti, compaiono due angeli speculari intenti ad aprire un sipario al centro del quale c’è una giovane donna ormai prossima a partorire, metafora del mistero divino della creazione. Questa Madonna, sguardo basso, un po’ ricurva per il ventre gonfio che accarezza con una mano provando a bilanciarsi con l’altra, sembra ascoltare solo l’intimità instaurata con quel figlio che porta in grembo. Quando quest’ultimo verrà al mondo ci sarà un’altra relazione fortissima tra madre e figlio, quella dell’allattamento, che nel tempo molti artisti hanno voluto rappresentare.
Come nel caso di Andrea e Nino Pisano che tra il 1343 e il 1347 scolpirono la Madonna del latte, capolavoro del Trecento italiano che colpisce per la sua incredibile naturalezza. La cosa più coinvolgente, nell’opera, è vedere il modo in cui il bambino si attacca al seno materno. C’è una linea che unisce gli sguardi dei protagonisti e che rappresenta l’accettazione della meraviglia; come se il Gesù non si stesse nutrendo di solo latte ma di tutti quei segni corporei che la madre gli trasmette: gioia, dolore, preoccupazione. L’opera dei Pisano sembra il modello ideale di tante maternità a venire, un abbraccio tra madre e figlio che scavalca i secoli e arriva fino ai giorni nostri.
Un ordine e un’armonia che ritroviamo nella Maternità che Gino Severini realizza nel 1916, in cui la donna raffigurata è la moglie dell’artista che offre il proprio seno al figlio. In questa occasione l’autore abbandona l’avanguardia pittorica che aveva iniziato ad amare a Parigi, privilegiando toni più pacati. «Una tendenza che accomuna molti artisti di quella generazione – spiega Baliani commentando il dipinto – spinti verso forme più pure a seguito dell’orrore prodotto dalla guerra». La madre in questione, tuttavia, non sorride ma è pensierosa, come se nel quadro fosse presente un presagio di morte. Una malinconia che spinge Severini a una nuova riflessione che si traduce spesso in mestizia, anche quando il tema è vitale come la maternità.
Una consapevolezza quella di Severini, che in qualche modo si ritrova in un’altra opera importante sulla maternità, la cui analisi chiude la puntata. Nel 1912 Umberto Boccioni produce Materia, il ritratto della madre. Nel quadro prende forma una donna possente con le mani in avanti strette tra di loro; il viso si intravede in mezzo a un dinamismo di colori e forme che deriva dalle esperienze futuriste dell’autore. Un’esplosione cosmica d’amore che anticipa però esplosioni ben più gravi, ormai dietro l’angolo: i tamburi di guerra stanno per risuonare nel cuore dell’Europa.