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Alcuni partecipanti infatti, sostengono che determinati prodotti arrivati in finalissima non avessero i requisiti necessari.
Andiamo con ordine. In una prima fase di selezione, il giudizio è stato affidato a una votazione on line, mentre in quella successiva a una giuria di qualità, che avrebbe scelto una serie da aggiungere alle altre dieci che hanno superato il primo turno. In un secondo momento poi, quello stesso comitato tecnico avrebbe stabilito le cinque finaliste.
Ciò di cui si lamentano i diretti interessati però è che in una categoria siano passate sei serie; a destare sospetti, il fatto che, dopo le proteste dei diretti interessati, sia stata aggiunta la dicitura “ex equo”.
Ad ogni modo, ad indignare maggiormente, è stato il mancato rispetto del regolamento per quanto riguarda i requisiti necessari per partecipare. Contrariamente a quanto previsto dal regolamento, qualcuno ha caricato la propria serie online dopo la scadenza dei termini d’iscrizione e, oltretutto, inserendo meno dei tre episodi “obbligatori” e necessari.
{module Google richiamo interno} Su Facebook è nata anche una pagina intitolata Boicottiamo il Roma Web Fest, accusato in definitiva di essere una vetrina per gli organizzatori, specie considerando le prestigiose partnership di cui il Roma Web Fets si fregia. Il patrocinio è affidato a nomi come Rai Fiction, Università La Sapienza, Agis, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Lazio, Roma Capitale, Anica, Premio Solinas, Giffoni Academy.
Un evento importante per il panorama dell’audiovisivo. Non dimentichiamo inoltre che il Roma Web Fest è gemellato con omonimi festival internazionali.
Segnaliamo infine la gestione della vicenda da parte degli addetti ai lavori: sulla pagina Facebook del festival, manca qualsiasi riferimento alla diatriba, persino il post scritto per spiegare l’aggiunta della scritta “ex equo”; qui si possono trovare gli screenshot di un concorrente che ha documentato l’intera vicenda e che attestano l’esistenza di quello status. Prima inserito, poi eliminato, insinuando così ulteriori dubbi in chi ha versato 28 euro per partecipare.
Ci sorprende una gestione così poco lungimirante dell’intera questione da parte di chi sbandiera la rete come nuova possibilità lavorativa del futuro per i giovani: ragazzi che, dal canto loro, sanno benissimo che nel web niente viene mai cancellato definitivamente.