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Anche nella seconda edizione “Bake off Italia” si conferma un programma adatto alla famiglia. Il talent show rende protagoniste persone comuni, tutte legate da uno stesso obiettivo: diventare dei rinomati pasticcieri. Un sogno che può essere inseguito partendo dalla pubblicazione di un libro di ricette, premio previsto per il vincitore.
Dal punto di vista strutturale, il programma, condotto dalla brillante Benedetta Parodi, ricalca quanto già visto in “Masterchef”, capostipite dei talent sulla cucina. Anche qui ci sono i giudici che sottopongono i concorrenti a prove molto impegnative. Quali, dunque, le specificità del format di Real Time?
La prima sta nella presenza, ma soprattutto nella funzione della conduttrice. La Parodi è molto calorosa nei confronti dei concorrenti, li sostiene e li rassicura nei momenti di maggiore difficoltà, ricoprendo il ruolo di vera e propria motivatrice. Secondo elemento: i giudici, il cuoco Ernst Knam e la giornalista Clelia D’Onofrio. Entrambi sono molto esigenti, tuttavia le loro valutazioni restano sempre misurate. Anche quando c’è da rimproverare un concorrente per un piatto mal riuscito, il rimbrotto è deciso, ma mai tale da umiliarlo o metterlo in ridicolo davanti ai suoi colleghi.
Terzo ed ultimo elemento, quello più importante: il rapporto che si instaura tra gli aspiranti pasticcieri. Tra loro la competizione è più che ovvia, ma ad essere evidenziato è il forte legame di collaborazione che si riesce a creare. Durante le prove ai fornelli ci si aiuta e ci si consiglia l’un l’altro, mettendo da parte gli interessi personali. Nascono delle amicizie sincere, oltre ogni individualismo. Valori come il rispetto per la dignità dell’altro, il sostegno e il supporto reciproco contribuiscono perciò a rendere “Bake off Italia” un programma decisamente “family friendly”.
Subito dopo la fine del programma di Benedetta Parodi arriva “Il boss delle cerimonie”, anch’esso alla sua seconda stagione. Il “boss” in questione è Antonio Polese, gestore di un maestoso palazzo, molto simile ad un castello baroccheggiante, in provincia di Napoli. L’uomo, insieme ai suoi fidati collaboratori, aiuta a realizzare i desideri di alcune famiglie campane che si rivolgono a lui, smaniose di organizzare a tutti i costi un matrimonio o una prima comunione che resti memorabile.
In questa trasmissione la parola “misura” non esiste: tutto deve essere puntualmente esagerato, l’abbigliamento e il menù in particolar modo, oltre che la struttura stessa della cerimonia, ricca di balli e di musica, rigorosamente neomelodica.
L’importanza del sacramento religioso, spunto per la pomposa festa, non viene considerata affatto e, da quanto traspare dagli atteggiamenti dei protagonisti dell’evento, nemmeno percepita. Questo spiega perché “Il boss delle cerimonie” non è semplicemente un programma trash ma, tra l’altro, restituisce un’immagine del modus vivendi campano (e napoletano in particolare) soltanto in parte corrispondente alla realtà. Lo scorso anno il docu-reality ha suscitato molte polemiche proprio tra i napoletani che non si riconoscevano in quelle immagini.
Esso piuttosto rappresenta l’elogio dello sfarzo più sfacciato e talora anche dello spreco in dispregio alle tante famiglie che non riescono ad arrivare con stipendi e pensioni a fine mese. Prova tangibile è quanto accaduto in una puntata recente, in cui una giovane mamma, alle prese con l’organizzazione dei festeggiamenti per la prima comunione dei suoi figli (simile più ad un matrimonio) sosteneva con nonchalance l’assoluta necessità di avere nel menù dei piatti a base di frutti di mare perché “è meglio buttare che non avere”. Si delinea, dunque, da una trasmissione del genere, un modello di famiglia a dir poco discutibile, di cui la volontà di ostentare e l’ingordigia consumistica rappresentano le componenti principali.