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E’ una composizione matura del musicista di Lucca, scritta nel 1918 (la morte lo avrebbe colto sei anni dopo), e che perciò presenta innovazioni timbriche e armoniche che oltrepassano la tradizione veristica italiana, ponendosi al passo con la cultura musicale mitteleuropea.
L’opera – l’unica nella tradizione del repertorio buffo composta da Puccini – fu data en première al Metropolitan di New York nel dicembre 1919 con successo immediato: un mese dopo essa arrivava a Roma al Teatro dell’Opera, dopo pochi mesi anche al S.Carlo di Napoli e al Teatro Colòn di Buenos Aires. Nel 1920 giunse alla Fenice di Venezia e al Regio di Torino, dove è stata eseguita per molte altre rappresentazioni. E qui, nella recentissima versione del 2014, grazie alla trasmissione di Rai5, la cui regìa è curata da Alessandra Bruno, ascolteremo un nuovo “Gianni Schicchi”.
Il libretto era stato scritto dall’amico Giovacchino Forzano, ed era ispirato ad un episodio della Divina Commedia di Dante, al canto XXX dell’Inferno: è una tipica beffa toscana, cui lo spirito ironico di Puccini non era certo estraneo, anzi basterà ricordare i tanti personaggi che nella “Bohème” e in altre opere, egli ha tratteggiato beffardamente.
Gianni Schicchi, tipico personaggio della Firenze duecentesca, linguacciuto e pungente, viene interpellato dall’aristocratica famiglia Donati (con cui non era in buoni rapporti), perché – avendo essa saputo che il loro ricco parente Buoso Donati intendeva lasciare le sue fortune di mercante al vicino convento – essendo questi appena morto, sperava che lo Schicchi potesse trovare un rimedio alla situazione. Proprio lui, con cui non correva buon sangue.
Ma la sua amata figlia Lauretta, innamorata a sua volta del nipote di Buoso, Rinuccio, persuade il padre a dare una mano ai Donati. La notizia della morte non essendo ancora trapelata, egli si fa mettere coricato nel letto del defunto (dopo avere avvertito i parenti che grave è la pena – il taglio della mano – se saranno scoperti) e – al notaio subito chiamato – parlando con voce soffocata dètta un altro testamento, in cui fa assegnare la casa, il mulino e la mula, al “caro, devoto, affezionato amico Gianni Schicchi”, mentre i parenti non possono intervenire pena la denunzia.
Subito dopo, i Donati scoppiano in grida e ingiurie, ma ormai niente è più possibile fare: Gianni Schicchi è già in casa sua e sul balcone i giovani innamorati godono la beffa che li renderà sposi.
Molti sono i personaggi caratteristici che integrano il canovaccio, differenziati anche vocalmente – una sola è l’aria melodica tradizionale, “O mio babbino caro” cantata da Lauretta – ma l’opera più che comica defluisce prontamente nel grottesco. La versione che verrà trasmessa, tuttavia, affidata al regista Vittorio Borrelli, trasporta l’azione ai tempi di Puccini, con scene di ambientazione borghese e costumi relativi: molto in tal modo viene sottratto del fascino della Firenze dantesca, caratterizzata dalla vivacità e dall’arguzia dei rapporti interpersonali, ed all’aspetto tragicomico.
Comunque la direzione dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino è del tedesco Stefan Anton Reck, il baritono che impersona Gianni Schicchi è il torinese Alessandro Corbelli, specializzato nel repertorio buffo italiano. Il ben noto tenore Francesco Meli interpreterà Rinuccio, mentre il soprano belcantista dalla voce cristallina, Serena Gamberoni, sarà Lauretta.