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Allora, osiamo suggerire noi, perché la presidente della Rai dopo aver toccato con mano il valore di questo privatissimo alloro che dal 1975 dà lustro all’Italia (ha anticipato per cinque volte le scelte del Nobel con Rigoberta Menchù, Naipaul, Tomas Transtromer, Mo Yan e Peter Higgs) perché, dicevamo, non segnala ai vertici di Viale Mazzini di trasmettere in una delle reti della tv pubblica l’intera cerimonia di premiazione del Nonino?
Certo, servizi giornalistici nelle tre reti o ritorni sull’avvenimento come quello che ci sarà a “La vita in diretta” danno conto della manifestazione. Ma essa appunto non è mai stata ripresa integralmente dalla tv di Stato, come per esempio avviene per il Campiello e per il Premio Strega. “Manca la suspense”, commenterà qualcuno, osservando che l’alloro romano e quello veneto individuano il vincitore nel corso della cerimonia mentre i quattro Premi Nonino di ogni anno vengono comunicati tre settimane prima del gran finale in distilleria. E qualcun altro obietterà: si tratta di un premio conferito da un privato, da un imprenditore, si rischia di fargli troppa pubblicità.
Noi ci permettiamo di osservare che anche il Campiello ha dietro non un industriale, ma la Confindustria del Veneto. E che il Nonino al posto del fotofinish sul trionfatore può offrire allo spettatore intanto la coreografia della distilleria, con gli alambicchi che vengono aperti tutti di un colpo in onore dei vincitori e ne esce il fumo denso della grappa mentre s’intonano musiche verdiane e canzoni della tradizione montanara. Ancora, che il parterre degli ospiti può garantire una serie di interviste da soddisfacente auditel (sabato c’erano tra gli altri Fabio Capello, Cesare Rimini, Lella Costa, Rosita Missoni, Sabelli Fioretti…). Infine, che i premiati e i membri della giuria che li introducono tengono delle lectio brevis, dei piccoli “saggi” orali densi di umori etici e culturali.
Emozione hanno per esempio suscitato l’altro ieri due maestri del teatro, Peter Brook, membro della giuria, e Ariane Mnouchkine, al quale è andato il “Nonino 2015”. Brook ha ricordato l’asserzione saggia secondo cui “se tutto il mondo fosse distrutto non bisognerebbe dimenticare il segreto della goccia di pioggia” perché contiene in sé tutto quanto serve a rigenerarlo. “Allo stesso modo, quando ho visto il primo spettacolo di Ariane – ha rivelato – ho pensato che, come la goccia di pioggia, aveva dentro tutti gli elementi del suo sviluppo futuro”.
La Mnouchkine, che ha firmato uno dei più bei film d’Oltralpe, “Molière” e che fondato in uno spazio appena fuori Parigi il Théatre du Soleil il quale riunisce come in una famiglia artisti di tutto il mondo e incorpora echi disparati di tradizioni rappresentative anche orientali, come il kabuki, ha aperto il suo cuore al pubblico, non trattenendo gli occhi lucidi. “Ho preso un taxi all’aeroporto per raggiungere Udine – ha detto – L’autista era musulmano. Abbiamo cominciato a parlare e cinque minuti dopo il discorso è inevitabilmente caduto su quanto è successo il 7 gennaio scorso a Parigi. Lui si è mostrato disperato nel rievocare gli attentati al giornale Charlie Hebdo e al supermarket kosher. Io gli ho detto: da cittadina, da singola, da donna impegnata in un lavoro che coinvolge molti, non posso che fare una cosa, provare a essere esemplare. Ci siamo lasciati così, con questo muto accordo, che forse può averlo rinfrancato”.
Yves Bonnefoy, massimo poeta francese vivente, al quale è andato il “Premio Internazionale Nonino” ha invece scavato nel cuore del suo lavoro confidando che il poeta vive se si confronta con gli altri, con i diversi da sé. E che dunque l’alloro ricevuto a Percoto, che viene conferito a personalità delle più disparate discipline – letterati, sociologi, artisti, musicisti, neuroscienziati, storici, fisici, registi – è proprio quello che serve a chi compone versi: uscire dal guscio, avere ispirazione grazie al rapporto con esponenti delle diverse branche intellettuali.
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Martha Nussbaum, filosofa statunitense che nei propri studi ha affrontato il nodo della formazione scolastica, ha ricevuto dalle mani di Fabiola Gianotti il premio “A un maestro del nostro tempo”. Ed ha elencato al pubblico, evocando i difficili momenti che il mondo sta vivendo, cinque parole chiave per uscire dall’emergenza, anzi “cinque propositi” li ha chiamati: intelligenza, coerenza, immaginazione, lavoro di squadra, speranza.
Roberto De Simone, celebrato musicista, compositore e autore partenopeo, è stato introdotto da Claudio Magris il quale ha tenuto a sottolineare, citando Raffaele La Capria, la differenza tra “napoletanità” che è spirito autentico di un popolo, appunto quello indagato da De Simone, e “napoletaneria”, che è l’uso mistificato, turistico, della cultura, il più delle volte orale, cresciuta all’ombra del Vesuvio.
L’autore de La Gatta Cenerentola ha risposto con parole sensazionali e vibranti: “Il Nonino è nato 40 anni fa – ha detto – E appunto 40 anni fa è morto Pasolini, un friulano che amava i poveri. Un apostolo degli emarginati, degli esclusi, di quanti insorgono contro la violenza che il potere politico esercita sulle classi subalterne. In un libro Pasolini è stato definito “L’usignolo della Chiesa cattolica” e si osserva che Cristo, per propagandare la verità, si è dovuto esporre, mostrare nudo sulla Croce. Ecco, se fossi Papa, non avrei esitato a proclamare santo Pier Paolo Pasolini. Egli è stato martire della verità, perché è stato assassinato per eliminare il germe della consapevolezza che egli stava propagando”.
Parole alte, cerimonia pregna di input morali e di spunti per il rilancio del Bel Paese. Mamma Rai dovrebbe diffonderle diffusamente, senza limitarsi al collegamento giornalistico “mordi e fuggi”.