“A teatro la creatività trova ancora spazi importanti, al cinema è schiacciata dal sistema produttivo. Un tempo si faceva grande cinema perché c’erano produttori illuminati che permettevano agli artisti di essere folli ed accompagnarli nella loro follia”. Ma il 54enne eclettico artista ligure non si arrende. E sperimenta anche al cinema, non solo a teatro. Distribuito in Italia dalla Tucker Film, esce (in contemporanea con la Francia) giovedì 27 giugno “Amore Carne”, di cui è operatore, attore e regista. Già applaudito al Festival di Venezia nel 2011, il film sarà presentato il 26 giugno alla 49esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro all’interno dell’Evento Speciale “Fuori norma. La via sperimentale del cinema italiano (2000 – 2012)”. Un lavoro simbolo del suo “cinema senza norma, che nasce senza copione, dettato da un’urgenza personalissima di guardare la realtà”, come ha detto Marco Muller, che con lui ha lavorato al film “Il grido” (presentato al Festival di Roma nel 2006).
La forza di “Amore Carne” è l’essere stato girato con un telefonino ed una piccola camera full-Hd. “Il telefonino e queste piccole camere ti permettono di avere grande libertà. Ma rischi di filmare tutto. Per questo io seguivo, cercavo ed anche costruivo a volte, delle situazioni molto precise, anche se altre volte riprendevo le cose che mi venivano inaspettatamente addosso. Ma – dice Delbono – c’era alla base sempre una necessità di riprendere ‘certe cose’ e non altre. Una sceneggiatura scritta forse più nello stomaco che sulla carta. E poi, a volte, nelle riprese fatte con questa piccola camera, proprio per la qualità ‘diversa’ dell’immagine, scoprivo qualcosa di speciale in un viso, in un paesaggio, in un taglio di luce.
Come quando guardi un quadro impressionista, e proprio per quella scomposizione dell’immagine ne cogli l’anima più profonda”. “Amore Carne” è un viaggio fatto di momenti unici, incontri ordinari o straordinari, da una camera d’albergo a Parigi ad un’altra a Budapest, attraverso testimoni famosi e gente comune. “Amore Carne” è un viaggio in soggettiva dentro e fuori di sé. A volte la camera agisce di nascosto. A volte riprende gli attimi che precedono una catastrofe, come il terremoto de L’Aquila. Oppure il dopo, come a Birkenau. Ogni incontro è un’immagine del mondo di ieri, di oggi, di domani. Un mondo che qualcuno racconta attraverso la musica (come il compositore e violinista Alexander Balanescu) o il gesto (come Marie-Agnès Gillot, danzatrice étoile de l’Opera di Parigi), oppure attraverso le parole (come l’attrice Irène Jacob) o il silenzio (come Bobò, lo storico attore sordomuto di Delbono, o come l’artista Sophie Calle e l’attrice Marisa Berenson).
Da un’immagine all’altra, da un testo all’altro, da uno spazio all’altro, la camera di Delbono ci parla dell’amore. Della poesia. E della carne. Con ciò che comporta di passione, ombra, dolore, tragedia e umorismo. “Il cellulare – osserva – ha la capacità di non creare imbarazzo. Tu guardi, ma sei anche guardato. Le persone che filmo non guardano la macchina che li filma, ma la persona che tiene quella piccola macchina. Il cellulare non ha il potere della ‘macchina cinema’ che ti sta afferrando e portando via qualche cosa. E’ come lo sguardo di un bambino: non crea imbarazzi, censure, paure… è un cinema leggero, che ti dà la capacità di danzare. Il cellulare permette di riprendere seguendo il ritmo degli occhi: gli occhi che cercano le cose, che indietreggiano, che prendono coraggio, che si fermano, gli occhi che aggrediscono, che guardano e che si lasciano guardare. Così le riprese svelano stati d’animo, come quando a Istanbul combattendo la mia paura per gli uccelli mi sono messo a filmarli, mettendomi quasi addosso a loro. O come quando nell’altro film che ho girato con il telefonino, ‘La paura’, sono andato al campo rom senza sapere cosa sarebbe successo. Ma allo stesso tempo i miei occhi inseguivano la storia che sentivo l’urgenza di raccontare: la condizione orribile in cui vivono gli zingari nel nostro paese. Però in quella situazione mi sono lasciato anche la libertà di scoprire qualcosa di diverso da quello che volevo raccontare, e così ho trovato in quel luogo terribile altre storie che mi parlavano invece di accoglienza, di dolcezza
” Come nasce “Amore Carne”? “Forse – risponde Delbono – nasce da queste due parole che mi sono portato dentro mentre filmavo in questo anno e mezzo in giro per il mondo: Amore Carne”. “La vita – dice – ci offre sceneggiature più complesse, profonde ed importanti di una sceneggiatura. La vita è più pazzamente complessa di quello che si vede al cinema”. Un cinema che lo ha imprigionato nel ruolo dell’imprenditore cattivo, dopo che ha interpretato questo ruolo nel 2009 nel film “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino. Un cliché che non abbandona neanche in “Cha Cha Cha” di Marco Risi, al cinema da questo weekend. “Alcuni tagli – dice Delbono – tagliano i colori della vita. Ad esempio, nel film di Risi non c’è la scena che ho girato al letto con Eva Herzigova, in cui le dico ‘Tu dalla vita hai avuto tutto, guarda che cos’hai’. Per me questa scena rendeva il mio personaggio completo, offrendo un nuovo punto di vista. Ma il film per i produttori deve viaggiare sugli stereotipi”.
Artista eclettico e vulcanico, Delbono lavora sempre a più progetti insieme. A fine maggio ha debuttato a teatro con “Orchidee”, l’attesissima sua nuova creazione, che sarà allo Strehler di Milano, all’Argentina di Roma e poi a Parigi, con la nuova stagione autunnale. Ma è il cinema che in questi giorni lo ha protagonista. All’ultimo Festival di Cannes è stato due volte sul red carpet: per “Henri”, di Yolande Moreau, in cui è il protagonista, film presentato alla Quinzaine e che esce in questi giorni in Francia; e per “Un château en Italie”, film in concorso di Valeria Bruni Tedeschi. Nel frattempo Delbono è impegnato ad ultimare il montaggio di un suo nuovo film “Il sangue”, che racconta l’incontro con l’ex brigatista Giovanni Senzani, viaggio con la morte e l’incontro tra la memoria degli anni di piombo e le note liriche della sua Cavalleria Rusticana, creata per il Teatro San Carlo di Napoli. Un filo conduttore lega tutte queste sue ultime esperienze artistiche: sua madre Margherita. Con lei Pippo dialoga in cucina in “Amore Carne”, ed è al suo capezzale in “Il sangue”. Di lei si parla nella performance “Mia madre e gli altri”, che debutta in Francia a novembre a Bayonne, e che a febbraio diventerà anche un libro omonimo edito da ActSud.
Pubblicamente non voleva che fosse troppo esplicito il suo essere omosessuale, sieropositivo (in “Amore Carne” si vede Delbono mentre si sottopone al test HIV di cui sa già il risultato essendo sieropositivo da 22 anni, “è la malattia – dice – che mi ha aperto gli occhi sul mondo”) e buddista. Aveva paura che sua madre ne soffrisse. Convinto che delle tre cose la più dolorosa fosse scoprire che non era cattolico. Poi l’estate scorsa lei se n’è andata. E Pippo ora racconta di sé tutto, senza più timori e indugi, spietato con se stesso e con il mondo, ma sempre, sempre, prendendosi in giro con grande autoironia.