Dopo “Un matrimonio”, Pupi Avati ha confezionato un altro piccolo gioiello. Il suo film tv “Con il sole negli occhi”, trasmesso dalla rete ammiraglia Rai lunedì 2 febbraio, è riuscito ad affrontare, con grande sensibilità, tematiche molto differenti tra loro, condensate armoniosamente in poco più di 90 minuti.
La protagonista è Carla (interpretata da Laura Morante), un avvocato cinquantenne, la cui vita cambia con l’improvviso abbandono del marito dopo ventuno anni di matrimonio. Sta per crollare, ma tutto cambia quando conosce Marhaba, un bambino siriano che vive a Roma in un centro di accoglienza per migranti. Il piccolo è scampato alla morte dopo il naufragio dell’imbarcazione che lo trasportava in Italia. Il trauma che ha vissuto lo porta a non parlare, soprattutto perché dal giorno del disastro non ha più notizie dei suoi fratellini che erano con lui. La donna gli si affezionerà a tal punto da riuscirlo a prendere in affidamento.
Ecco, dunque, i temi portanti della storia: l’improssivo senso di maternità e la tragedia dei migranti. Entrando in contatto con un contesto sconosciuto, Carla si trasforma in una donna migliore. Da persona snob, entra in un altro mondo, fatto di sofferenza, di rinunce, che la rafforzano. La nuova condizione in cui si trova a vivere mette in evidenza tutto il suo altruismo e la sua sensibilità. L’incontro con il piccolo le fa capire davvero i valori che contano nella vita, realizzandola completamente come donna e come mamma, seppur in ritardo. Il suo grande cuore viene fuori soprattutto alla fine, quando per amore di Marhaba, deciderà di affidarlo ad una famiglia tedesca che già ha adottato gli altri due fratellini, anch’essi sopravvissuti al naufragio.
Felice è la scelta di trattare il delicatissimo tema della migrazione con gli occhi di un bambino. Affrontando la questione attraverso questo punto di vista, l’intento di denuncia aumenta e il regista riesce ad evidenziare il problema in tutta la sua gravità, grazie anche alla scelta, dura, ma capace di scuotere il telespettatore, di inserire nel corso della narrazione immagini reali delle tragedie del mare. Trattare un tema così forte non era facile, ma il regista è riuscito a farlo nella maniera più congeniale al linguaggio televisivo e alle esigenze del pubblico.
Nella domenica mattina di MTV, c’è spazio per un docu-reality, trasmesso alle 10.45. Si chiama “Virgin territory” e dal sottotitolo – “Aspettando la prima volta” – ben presto si capisce il tema principale del programma, tutto di matrice americana. I protagonisti di ogni puntata sono 4 ragazzi, accomunati dal fatto di non aver avuto esperienze sessuali.
I giovani vengono seguiti nelle loro vicende quotidiane e questo rende possibile vedere direttamente come si comportano con i potenziali partner e anche come si confrontano con amici e parenti sul tema. Sostanzialmente sono due gli approcci da parte dei ragazzi: c’è chi tiene molto alla propria verginità e decide di mantenerla fino a quando non arriva la persona giusta, c’è invece chi è più disinibito e cerca di trovare nel breve tempo possibile un partner con il quale avere il primo rapporto sessuale.
Dalla visione del programma, è possibile notare che un argomento del genere, legato alla sfera più intima dell’essere umano, viene affrontato piuttosto superficialmente. Attorno ai protagonisti si crea una vera e propria storia, anche con piccoli colpi di scena, che porta il telespettatore a chiedersi soltanto se alla fine il personaggio principale riuscirà nell’intento di perdere la verginità o meno. La conseguenza è che il tema portante della trasmissione viene svuotato della sua importanza.
In base a tutto ciò, suscita ancor più perplessità la decisione dell’emittente di trasmettere il programma in piena fascia mattutina, quando i ragazzi, liberi da impegni scolastici, possono trascorrere più tempo davanti alla tv. Il rischio a cui vengono esposti è soprattutto quello di farsi un’idea distorta su un tema così complesso e che invece meriterebbe una trattazione molto più accorta e approfondita.