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Nella costruzione della scaletta, non si vuole rischiare la sorpresa, esordisce Facci. Avere un’opinione che non è quella che si aspettano gli autori, non permette di essere collocato all’interno del parterre di ospiti. I telespettatori si sono assuefatti all’attuale mistura di politica e intrattenimento. Facci cita come esempio 19e40 di Floris, che in venti minuti conteneva più informazioni che un talk in prima serata, senza alterchi né litigi: non è piaciuto, ed è stato subito chiuso. Eppure seguiva tutte quelle linee guida che addetti ai lavori e pubblico considerano come indicatori di un buon prodotto di informazione.
Come conseguenza, temi importanti quali il genocidio degli Armeni rimane completamente escluso dai talk. È del resto risaputo che gli esteri non ottengano ascolti, e Formigli, che pure ha realizzato un notevole reportage da Kobane, non può che prenderne atto.
La prima puntata di stagione di Piazza Pulita, proprio quella con il reportage da Kobane, sarebbe dovuta andare meglio, vista la qualità del materiale proposto. Invece si è assestata su valori lievemente più bassi della media, perché il pubblico va anche “coltivato” ai generi a cui non è abituato.
Il genere dà ancora segni di vita, ma si rivela una continua operazione di mediazione. Lavorando per un’azienda privata, ammette il conduttore di Piazza Pulita, non fare ascolti equivale ad essere chiusi: un’eventualità che porterebbe a una serie di licenziamenti che lascerebbero sulla strada circa 80 famiglie. Una responsabilità troppo grande di cui non si può non sentire la responsabilità.
Marianna Aprile individua tra le cause della crisi il disamore del pubblico riguardo ad alcune tematiche; lo stesso disamore che porta alle alte percentuali di astensionismo. Il format però cerca di sopravvivere tentando sprazzi di creatività, ad esempio puntando su ospiti provenienti dal mondo dello spettacolo.
Sia la Aprile che la Lucarelli inoltre, sottolineano come il consenso quasi unanime intorno a Renzi abbia appiattito il dibattito politico, rendendo gli stessi talk meno interessanti. Se inoltre, fino a qualche anno fa, si aspettava che fosse Santoro o qualche altro giornalismo a porre le domande, adesso siamo negli anni della disintermediazione. Grazie ai social, noi stessi, in prima persona, possiamo rivolgerci ai nostri rappresentanti, e magari Renzi su Twitter ci risponde pure.
Ciò nonostante, il giornalista conduttore è un brand: a fronte di ospiti che sono sempre gli stessi, si sceglie di seguire lui.
Capito se si vuole davvero realizzare un programma informativo oppure uno che punta alla “pancia”, Formigli dà una soluzione: i giornalisti si devono riappropriare della loro professione. Non permettere che i politici monologhino è fondamentale, ma il contraddittorio non può essere affidato a un politico dell’altro schieramento, che agli occhi del telespettatore è altrettanto poco credibile in quanto portatore di un interesse contrapposto.
L’opposizione dialettica dunque, non può che spettare al giornalista. Di certo Salvini, e molti come lui, presenzierebbero meno.