“Nella nostra epoca i pensieri architettonici sembrano dominare la scena globale come frammenti di costruzioni concettuali spesso in piena contraddizione con il panorama circostante. Le città sembrano volersi dotare delle grandi firme dell’architettura mondiale inseguendone più il fascino del nome che l’effettiva rispondenza alle proprie esigenze urbanistiche”.
Con queste parole, Philippe Daverio introduce l’argomento della puntata odiena di Passepartout, dedicata all’edizione del 2008 della Biennale di Architettura di Venezia. Si discuterà di tutto quanto è accaduto durante la manifestazione con una serie di ospiti che esprimeranno le proprie differenti opinioni sul concetto di “Archistar” a livello mondiale. Sono tutti i personaggi incontrati da Daverio nel corso di questo suo reportage veneziano: Achille Bonito Oliva, Renato Nicolini, Gillo Dorfles, Francesco Dal Co, Franco La Cecla.
Daverio si occuperà anche del curatore di questa XI Biennale di Architettura, Aaron Betsky, che è anche architetto, critico, educatore, conferenziere, designer e scrittore. Leggendo meglio il suo profilo biografico si comprende bene che tra i suoi meriti principali, oltre a qualche direzione di musei e incarichi vari tra l’Olanda e gli USA, emergono le sue frequentazioni con supercalibri dell’architettura mondiale contemporanea quali Frank Owen, Gehry e Zaha Hadid, che guarda caso sono tra le star di questa Biennale. Una Biennale che ha suscitato un’impressionante disapprovazione generale da parte della critica per la sua superficialità e la totale dedizione al pensiero unico globale delle archistar.
Fortunatamente facendo il giro dei padiglioni nazionali, dove ogni Stato decide per conto suo e le indicazioni di massima del curatore vengono spesse disattese, si trae qualche sospiro di sollievo. È il caso, per esempio, della Russia che distribuisce ironicamente su una scacchiera bianca e rossa la rappresentazione dello star system dell’architettura e ciò che è effettivamente il mondo che ci circonda. Un supermarket dell’architettura, dal quale ognuno può portarsi a casa un pezzettino da mettere nel proprio giardino o nella propria periferia o nel possibile futuro centro urbano. Una sorta di dichiarazione d’indipendenza dal pensiero architettonico globale viene poi della Svizzera. I progetti architettonici comprendono molto di più che il disegno di un edificio; dalla città in generale fino al più piccolo dettaglio l’architetto si trova di fronte ad un’ampia gamma di esigenze specifiche. Il metodo di lavoro architettonico include l’intera vita del progetto, dalla pianificazione allo sviluppo e costruzione, fino all’effettivo utilizzo dell’edificio. Potrebbe essere l’ABC dell’architetto e sembra quasi strano che si senta il bisogno di ribadirlo.