Roma, caput mundi, urbis et orbis della cristianità, capitale dell’Italia unita con l’intento mazziniano di superare nella modernità le pesanti eredità imperiali e del potere papale. Un sogno che fu anche architettonico e che il fascismo interpretò come sostanza scenografica del suo regime. D’altra parte, l’Italia, popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori, lo è forse pure di architetti.
La nuova immagine architettonica di Roma disegnata durante il fascismo si è dipanata lungo alcune fasi, nel corso delle quali si è declinato quello che è stato poi assimilato come stile definitivo del regime. Tutto cominciò con il Foro Italico, in cui l’architetto Del Debbio espresse un’architettura che voleva essere moderna, ma che cercava ancora una propria definizione.
Con la Città Universitaria la direzione di marcia si fece più chiara e puntuale: l’architetto Michelucci per Geologia elaborò un edificio coerentemente razionalista, allo stesso modo di Giò Ponti a Matematica e di Pagano a Fisica, mentre Capponi per Botanica scelse una soluzione piuttosto avveniristica che riprendeva molti spunti dall’utopia architettonica del Futurismo. In sintesi, nel complesso di questi edifici emergeva una modernità vicina alle teorie del Razionalismo, che amava combinare con passione materiali antichi e nuovi, lasciandosi guidare dal gusto neoclassico del coordinatore di tutto il progetto, Piacentini, autore anche del Rettorato.
Una fase ulteriore culminò con l’esigenza di dotare la città di nuovi edifici postali, che vennero affidati ad architetti molto giovani, in un cocktail di stili destinato a diventare la cifra tipica dell’architettura del regime. Libera, non ancora trentenne, firmò il Palazzo Postale di Via Marmorata, Ridolfi a ventotto anni si occupò di quello di Piazza Bologna, e Samonà a trentacinque anni di quello di Via Taranto. Si provvide anche a risistemare le stazioni: l’Ostiense, affidata a Narducci, con l’intento di dotarla della solennità necessaria per stupire Hitler al suo arrivo a Roma nel 1938; Termini, commissionata a Mazzoni, in qualità di ingegnere capo per le Ferrovie dello Stato.
Per i progetti più ambiziosi la firma principe restava però sempre quella di Piacentini, che insieme a Spaccarelli, guidò i lavori per la demolizione della Spina di Borgo per l’apertura di Via della Concilazione verso Piazza San Pietro, e coordinò l’ambizioso progetto dell’EUR 42, alla cui realizzazione il regime non rinunciò nonostante la concomitanza bellica.
Mentre a valle del Tevere nasceva l’EUR, a monte, dall’altra parte di Roma, si andava costruendo per mano di Del Debbio, Foschini e Morpurgo, il Palazzo Littorio, nato per essere la sede del Partito Nazionale Fascista, e diventato poi il Ministero degli Esteri, prendendo il nome di Farnesina. Si tratta di un edificio molto particolare e pieno di sorprese che merita una visita speciale. Già le due colossali statue portabandiera che introducono il suo ingresso vigilando sulla grande palla scolpita da Pomodoro posta a poca distanza sul piazzale, svelano la natura intrinseca del palazzo che si esplica nella sua totalità all’interno. Qui si scopre una sorprendente e ben congegnata rassegna di oggetti storici e artistici che sembra quasi voler intavolare un colloquio tra alcune delle più importanti espressioni del design e dell’arte italiana dagli anni 20’ ai nostri giorni. E, di tanto in tanto, spunta anche qualche prezioso reperto dell’antichità classica, quasi a voler constatare un rapporto costante e mai realmente interrotto tra le differenti versioni estetiche di Roma, del passato e del presente, prima, seconda, terza o in qualunque modo si voglia chiamarle.