Questa degenerazione della passione sportiva ci ha fatto tornare alla mente un episodio vero che coniuga esaltazione calcistica, televisione, sofferenza e morte.
Era l’anno delle notti magiche evocate nel brano Un’estate italiana, inno di Italia ’90, cantato da Gianna Nannini e Edoardo Bennato. Il Campionato mondiale di calcio si giocava in Italia: iniziato l’otto giugno, si concluse l’otto luglio: era il mondiale di Baggio e Schillaci, di Azeglio Vicini e delle great expectation dei nostri azzurri.
La vicenda accade in quel periodo e coinvolge un medico che, per sua sfortuna, si ammala proprio nei giorni dell’italica febbre mondiale. Ha bisogno di essere ricoverato in ospedale per le sue condizioni che, già compromettenti, cominciano ad aggravarsi ulteriormente.
Sembra una semplice costola rotta, invece si tratta di qualcosa di molto più grave. E il dottore, valente professionista che ha strappato tanti pazienti alla morte, non troverà nessuno che gli ricambi la cortesia.
Nella sala di rianimazione, il medico- paziente occupa il terzo letto della stanza. Si consuma in quell’atmosfera di angosciosa sofferenza, un dramma umano passato in secondo piano rispetto alla follia collettiva che coinvolge anche il nosocomio e una struttura delicatissima quale la sala di rianimazione.
Nell’atrio dell’ospedale al quale accedono i visitatori per dirigersi ai vari reparti, è allestito un mega schermo sintonizzato sulle partite in corso. Chi arriva si ferma a guardare le immagini trasmesse dalla tv e commenta ad alta voce, con accorata partecipazione, quanto succede sui campi di calcio. Tutti dimenticano di trovarsi in un luogo in cui la sofferenza umana meriterebbe più rispetto..
Scandalosamente non viene risparmiato neppure il luogo più “sacro” di ogni ospedale: la sala di rianimazione. L’infermiere di guardia, all’interno della sala, che dovrebbe controllare, dalle apparecchiature a cui sono collegati i quattro pazienti, i rispettivi parametri vitali, è intento a tutt’altra occupazione. E’ seduto ad un tavolino sul quale è appoggiato un televisore portatile e volge le spalle ai malati senza speranza, distesi sui letti di sofferenza che sembrano già una bara. Segue la partita in corso, con un incredibile accanimento. Gesticola, batte i pugni sul tavolo, forse per un goal mancato o un’azione non riuscita. All’esterno della sala di rianimazione, alcuni familiari dei pazienti guardano la scena, cercano di intravedere i propri cari e rivolgono timidi cenni all’infermiere che, senza distogliere gli occhi dal piccolo televisore, con uno sprezzante gesto della mano, indica che devono attendere.
Ma l’acme di questa vicenda si tocca il due luglio. Si gioca Italia- Argentina. Sono le 20. Diego Armando Maradona è in campo contro gli azzurri. L’atrio dell’ospedale comincia a riempirsi: tutti si fermano dinanzi alla tv. Le grida dei tifosi arrivano amplificate fino alla sala di rianimazione. L’infermiere si alza a tratti dalla sedia e solleva le braccia al cielo. Tutt’intorno l’entusiamo dei visitatori e poi un urlo: Schillaci ha segnato. Italia in vantaggio.
In quel luogo di sofferenza, la sofferenza è sepolta. Non esiste alcun segno della pur minima pietà cristiana. L’ospedale è in delirio. Ma arriva la doccia fredda: Caniggia pareggia per l’Argentina al 68esimo. Poi i rigori. L’infermiere continua a dimenarsi davanti alla tv, senza riguardo per il luogo nel quale si trova. Gli atteggiamenti da isteria mondiale sono gli stessi: si muove come un forsennato, allarga le braccia, le dimena verso il cielo. Dietro di lui i moribondi, immobili, respirano affannosamente. I familiari, dall’esterno. sperano ancora di poter entrare per salutare i congiunti prima che sia troppo tardi.
L’Italia di Azelio Vicini viene eliminata ai rigori. L’entusiasmo crolla. L’infermiere esce furiosamente dalla sala per condividere il suo malumore con gli astanti in preda alla delusione.
Due giorni dopo, alle 2 nella notte tra il 5 e il 6 luglio, il medico spira.
Sono trascorsi 24 anni da quella notte. Ciò che accadde all’interno di quell’ospedale può essere utile per comprendere quanto sia devastante il potere della tv. In particolare oggi, ha i suoi totem, i suoi idoli, gli altari sui quali viene immolato, senza scrupolo alcuno, ogni valore etico. La tv non ha nessun riguardo per la morte, la ignora, salvo sfruttarla quando è funzionale ai suoi interessi.
La tv ipnotizza, genera febbre. E, durante i mondiali, inevitabilmente, amplifica gli aspetti prevaricanti di una manifestazione che dovrebbe essere solo un’importante competizione sportiva.